Al di là delle posizioni di bandiera, fra chi plaude, organizzazioni agricole e sementiere, il mondo della ricerca, e chi invece esprime grande allarmismo, organizzazioni ambientaliste e del biologico, il voto positivo espresso dal Parlamento Ue lo scorso 7 febbraio in merito alla proposta della Commissione sulle piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche (NGT in inglese, ovvero TEA, tecniche di evoluzione assistita, per noi) non costituisce ancora un via libera. Perché la proposta arrivi all’approvazione finale è necessario che il Consiglio (i rappresentanti di tutti i governi nazionali) definisca la propria posizione negoziale, non ancora trovata perché diversi di essi si oppongono all’iniziativa, e si passi al trilogo finale, cioè alla procedura di codecisione legislativa tra lo stesso Parlamento Ue, il Consiglio e la Commissione.
Ma il tempo corre ed appare sempre più difficile che possa completarsi prima delle votazioni politiche europee fissate per i prossimi 8 e 9 giugno.
La posizione del Parlamento Ue
Ricordiamo che la proposta della Commissione del 5 luglio dello scorso anno (AgriCommercio n. 5-2023) sulle piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche prevede di differenziarle in due categorie,
- le Ngt-1 considerate equivalenti alle piante convenzionali e pertanto da assoggettare ad una disciplina di valutazione ed approvazione meno rigorosa,
- e le Ngt-2 cui continuare ad applicare la vigente normativa sugli ogm.
Mentre i primi ogm comportavano l’inserimento di geni provenienti da altre specie (transgenesi), le ultime procedure genomiche quali la cisgenesi e la mutagenesi mirate permettono di intervenire e utilizzare materiale genetico non estraneo all’interno della stessa specie.
L’azione del fronte ecologista ha portato gli eurodeputati ad approvare a maggioranza alcune modifiche, che potranno avere un impatto non trascurabile dal punto di vista operativo:
- il mantenimento dell’etichettatura obbligatoria non solo di tutte le sementi, ma anche dei prodotti derivanti sia dalle piante Ngt-1 che Ngt-2;
- la creazione di un elenco pubblico disponibile online di tutte le piante Ngt-1
- l’esclusione dalla brevettabilità per tutte le piante Ngt, il materiale vegetale, le loro parti, le informazioni genetiche e le caratteristiche del processo in esse contenute. Il divieto dovrebbe avere anche effetto retroattivo, andando a coinvolgere la brevettazione da tempo ammessa dalla direttiva 98/44/Ce sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. E questo "per evitare incertezze giuridiche, aumento dei costi e nuove dipendenze per agricoltori e allevatori";
- la presentazione entro giugno 2025 da parte della Commissione di una relazione riguardante il ruolo e l’impatto dei brevetti sull’accesso dei costitutori e degli agricoltori al materiale riproduttivo vegetale, valutando eventuali ulteriori adeguamenti all’interno del quadro relativo ai diritti di proprietà intellettuale.
L’europarlamento ha comunque confermato il divieto di impiegare nelle produzioni con metodo biologico qualsiasi pianta Ngt ed ha previsto che la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di piante Ngt-1 nei prodotti biologici non costituisce causa di non conformità. Ha inoltre ribadito che le piante Ngt che presentano tratti di tolleranza agli erbicidi non possano rientrare nell’ambito delle piante Ngt-1.
La questione brevettuale
La proprietà intellettuale sulle piante coltivate opera almeno in Europa su due versanti:
- quello tradizionale della privativa varietale (il cosiddetto brevetto vegetale), codificata dalla Convenzione Upov del 1961 e poi disciplinata per l’intera Ce dal regolamento n. 2100/1994,
- e quello del classico brevetto industriale, secondo quanto previsto dalla direttiva 44/98.
Una distinzione fondamentale è che mentre la privativa ammette che una varietà tutelata possa essere liberamente utilizzata da un altro breeder per costituire una nuova varietà, ovviamente distinta per almeno un carattere importante, il brevetto industriale non consente questa libertà d’azione, richiedendo il consenso del detentore del titolo di protezione se il carattere brevettato è presente nella nuova varietà commercializzata.
Il divieto di brevettazione ora proposto dagli europarlamentari è appoggiato non solo da movimenti pregiudizialmente contrari alla proprietà intellettuale nei campi delle scienze della vita, ma trova vasti consensi pure nella società civile e tra i politici. Il tema taglia trasversalmente anche l’industria delle sementi, con le grosse aziende chiaramente a favore di brevettare quelle medio piccole che vedono con preoccupazione la progressiva limitazione della loro capacità di costituire nuove varietà con le sole tecnologie tradizionali o senza imbattersi nella presenza nei materiali genetici utilizzati di geni o costrutti brevettati. D’altra parte, viene osservato, se le piante Ngt-1 sono considerate equivalenti, tanto da non distinguersi spesso da quelle convenzionali, perché ammetterle ad una tutela brevettuale diversa dalla privativa?
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Cosa ci dobbiamo aspettare
Il dibattito necessita di seri approfondimenti. La ricerca in campo vegetale, anche con queste nuove tecniche genomiche, per quanto più mirate, richiederà sempre maggiori investimenti sia da parte dei privati che del pubblico. Troppo semplicistico pensare di risolverlo con un divieto. Richiamandosi allo storico accordo per una nuova genetica green siglato tre anni fa con la Siga (Società italiana di genetica agraria), Coldiretti ha rimarcato il “sostegno che potrà essere assicurato dalla ricerca pubblica con l’abbandono della logica del brevetto delle multinazionali delle sementi”.
Un nuovo bilanciamento tra privative e brevetti in campo vegetale va trovato, probabilmente limitando ancora di più l’ambito dei diritti brevettuali.
Il rischio più concreto è che con le piante Ngt finisca come i primi ogm, cioè con i paesi europei che non riusciranno ad avanzare più di tanto nell’innovazione genomica, ovvero a coltivarle, mentre potranno continuare ad importare le relative produzioni dai paesi terzi!
Il riso della “vittoria”
Così il quotidiano Il Foglio ha titolato di recente il commento del noto biotecnologo molecolare del Cnr di Napoli Roberto Defez della notizia che un gruppo di ricerca genetica dell’Università statale di Milano coordinato dalla professoressa Vittoria Brambilla ha ufficialmente notificato a inizio 2024 al Ministero dell’ambiente una richiesta per potere sperimentare in pieno campo in provincia di Pavia una varietà di riso che in laboratorio avrebbe già dimostrato di tollerare bene l’infezione fungina che provoca il brusone. Questa nuova varietà/piante resistente sarebbe stata ottenuta ricorrendo alla tecnologia Crisp-Cas9, una delle nuove forme di editing che rientrano tra le cosiddette Tea.
La procedura di valutazione della richiesta, sebbene semplificata grazie alle disposizioni urgenti in materia di piante ottenute con tecniche di editing genomico inserite dal Governo nel cosiddetto “decreto siccità” dello scorso anno, la legge n. 68/2023, comporta comunque una informativa alla Commissione europea, il coinvolgimento dei Ministeri della salute e delle politiche agricole, dell’Ispra, e della regione dove dovrebbe effettuarsi la sperimentazione, nonché una fase di consultazione pubblica. L’intero percorso dovrebbe completarsi nel termine di 65 giorni. E comunque le deroghe procedurali della legge 68 sono applicabili solo fino al 31 dicembre 2024.
È dal 2004 che non viene presentata in Italia una richiesta di sperimentazione per una pianta modificata geneticamente, allora si trattava di un limone resistente a patogeni fungini costituito dall’Università di Catania ricorrendo però a tecniche transgeniche. La richiesta venne respinta. Era stato il Ministro Pecoraro Scanio con un decreto nel 2001 a vietare per primo qualsiasi nuova sperimentazione agrobiotecnologica in campo aperto. I vincoli successivi e l’avversione in materia portarono addirittura nel 2012 a distruggere anche le prove in corso già dal 1999 di piante transgeniche di olivi, kiwi e ciliegie da parte di Eddo Rugini, ricercatore della Facoltà di agraria dell’Università della Tuscia.
Solo prove in campo, in condizioni molto più vicine a quelle reali di coltivazione, potranno consentire di valutare l’effettiva tolleranza al brusone della varietà di riso in questione. E quindi di vedere se passare alla procedura di iscrizione al Registro ufficiale della varietà, almeno altri due anni di prove, e infine alla fase di diffusione con la certificazione del seme e la coltivazione. Non meno di quattro-cinque anni, sempreché vadano in porto la proposta del luglio 2023 della Commissione sulle nuove Ngt e l’iniziativa di aggiornamento delle norme sui materiali di moltiplicazione vegetativa, come le sementi, anch’esse ancora in discussione in questi giorni.