La richiesta di sei Ong alla Commissione europea affinché riveda la recente decisione di ri-autorizzare il glyphosate, si fonda sulla premessa che tale autorizzazione non ha basi scientifiche sufficientemente solide e auspica una maggiore attenzione agli studi indipendenti.
Come comuni cittadini, prestando attenzione a queste richieste, dovremmo chiederci se le istituzioni europee non svolgano un ruolo indipendente, ma siano invece manipolate da poteri superiori sconosciuti. Le scelte della Commissione europea, in questo ambito, sono basate sui risultati delle analisi eseguite da due importanti istituti europei: l’ECHA e l’ESA. La prima compie una valutazione scientifica dei prodotti da un punto di vista chimico, la seconda studia gli effetti e le conseguenze per il consumatore e per l’ambiente. Questi due istituti, dopo anni di valutazioni, hanno ritenuto che il glyphosate avesse i requisiti per essere autorizzato all’impego in agricoltura. Pensiamo che questa scelta sia stata eseguita correttamente sia sotto il profilo prettamente scientifico, sia etico.
Vogliamo però soffermarci su un ulteriore aspetto che ha caratterizzato le vicende di questo prodotto, che è stato individuato come capro espiatorio per mettere in discussione l’impiego della chimica che, come sa chiunque abbia a che fare con l’agricoltura, è indispensabile per ottenere le produzioni di alta qualità che caratterizzano il settore agroalimentare italiano.
Le lunghe polemiche mediatiche che accompagnano da anni le vicende di questo prodotto hanno una forte connotazione ideologica e la politica ha prestato orecchio all’opinione pubblica sulla quale soffia il vento delle organizzazioni “antitutto”.
Tuttavia, una ragione dell’attenzione che è stata data al glyphosate effettivamente esiste. Questo prodotto viene spesso trovato nelle acque superficiali a seguito delle analisi effettuate dagli organi ufficiali di controllo. Nessun approfondimento è però stato fatto per spiegare come sia possibile che le analisi rilevino il glyphosate in alta montagna, dove non esiste attività agricola e dove difficilmente vi possono essere contaminazioni, visto che fino a prova contraria alle leggi della fisica, le acque si muovono sotto la forza della gravità. Così come non è stata data una motivazione valida dei risultati di un’analisi eseguita per incarico di una nota associazione del biologico, che evidenziava la presenza di glyphosate sui corpi di una famiglia romana che vive nel cuore della capitale, senza nessun rapporto diretto con l’agricoltura.
Su questi temi ci viene in aiuto una metanalisi pubblicata di recente su ScienceDirect firmata da M. Schwientek dell’Università di Tubinga, che ha analizzato i dati delle analisi svolte per ricercare la presenza nelle acque superficiali del glyphosate e del suo derivato, l’Ampa (amino methyl propionic acid), in diversi paesi europei e negli Usa. Le analisi sono state eseguite tra il 1997 e il 2023 in 101 siti, con più di 10 campionamenti all’anno in ciascuno dei siti analizzati: 73 siti in Europa (38 in Francia, 3 in Svezia, 18 in Germania, 7 in Olanda, 1 in UK, 2 in Italia e 4 in Lussemburgo) e 28 negli USA.
L’ipotesi generale dello studio era che Glyphosate e Ampa entrassero nei fiumi a seguito dell’applicazione come erbicida, in concomitanza con eventi piovosi. In effetti nella maggior parte dei casi, negli Usa, i picchi di glyphosate e Ampa coincidono con quelli degli altri erbicidi usati in agricoltura e sono correlati alle piogge come previsto dal deflusso agricolo. La presenza di Ampa ha un andamento leggermente diverso in alcuni siti, in aree dove vi è un impiego massiccio di erbicidi; in questo caso si notano massimi di concentrazione su buona parte del periodo di crescita delle colture, trovando una ragione nel fatto che Ampa è maggiormente persistente rispetto al glyphosate e quindi tende ad accumularsi. Tutti i siti hanno in comune il fatto che i periodi invernali mostrano concentrazioni e frequenze di rilevamento inferiori per tutti gli erbicidi impiegati in agricoltura e in particolare per il glyphosate. In alcuni siti, glyphosate ed Ampa sono stati rilevati durante l’intera stagione di crescita per l’intenso utilizzo del glyphosate in colture resistenti che consentono applicazioni per oltre nove mesi all’anno. Anche nel caso dei siti collocati nei bacini idrografici più ampi con input misto urbano-agricolo, le rilevazioni presentano modelli di concentrazioni simili ai siti prevalentemente agricoli.
La concentrazione in Europa
I tipici modelli di input agricoli visibili negli Usa sono raramente osservati nei 73 siti di rilevazione europei. Nei mesi invernali (novembre-marzo), durante i quali c’è una previsione di basso utilizzo del glyphosate, le concentrazioni risultano minori, ma sempre ben al di sopra del limite di determinazione con alta frequenza di rilevamento. Le concentrazioni aumentano regolarmente in aprile-maggio e raggiungono un massimo in luglio-ottobre.
Apparentemente questo schema di contaminazione, simile in tutta l’Europa occidentale, è indipendente dalle differenze nell’uso del suolo (urbano o agricolo), nel tipo di coltura, nelle pratiche di gestione del territorio e nelle condizioni climatiche. Nella maggior parte dei siti europei, i modelli di concentrazione non sono nemmeno coerenti con i principali tempi di applicazione del glyphosate, su stoppie in presemina in primavera e a fine estate/autunno. I dati europei rivelano, inoltre, una relazione inversa tra glyphosate e Ampa rispetto al nitrato, prodotto utilizzato come marcatore di riferimento per l’input diffuso in agricoltura.
Va anche osservata la rilevanza delle acque reflue per la contaminazione dei fiumi europei da parte di glyphosate e Ampa, in particolare le concentrazioni aumentano a valle del punto di scarico di un depuratore e diminuiscono con la distanza. In Europa, a differenza degli USA, quasi tutti gli effluenti degli impianti di depurazione sono risultati positivi al glyphosate e all’Ampa.
Qual è la vera fonte del glyphosate?
L’Ampa è un noto prodotto di trasformazione anche degli amminopolifosfonati, ampiamente utilizzati in Europa come antincrostante, stabilizzanti della candeggina e inibitori della corrosione principalmente nei prodotti per il bucato, nell’industria tessile e della carta e nei circuiti per il raffreddamento. Si può supporre, pertanto, che gli amminopolifosfonati siano la fonte principale di Ampa. In questo modo le grandi differenze di concentrazione dell’Ampa tra i fiumi Usa e quelli europei possono essere facilmente spiegate in quanto la maggior parte dei marchi Usa di detersivi non contengono amminopolifosfonati. Più difficile trovare una spiegazione per il glyphosate, anche perché l’applicazione di questo prodotto in aree urbane è stato sempre più limitato dai rigidi regolamenti comunitari e delle autorità locali. L’unica spiegazione attendibile è la formazione del glyphosate nel processo di ionizzazione dell’amminopolifosfonato, processo che si impiega per il trattamento delle acque reflue nei depuratori.
Queste deduzioni permettono anche una chiave di lettura del persistere dei ritrovamenti del glyphosate nelle analisi delle acque superficiali europee nonostante le restrizioni del suo utilizzo come erbicida, messe in atto dai regolamenti europei.
Dobbiamo altresì dedurre che i meccanismi europei e probabilmente nazionali, italiani ma soprattutto dei paesi nordeuropei, focalizzati sulla conservazione dell’ambiente, stiano manifestando dei limiti di non poco conto. Limitare il glyphosate senza capire esattamente quale sia la fonte è un errore grave, soprattutto se si pensa che questo prodotto può essere utilizzato nelle tecniche agricole proprio per preservare i terreni, vedi ad esempio la non-lavorazione. Ci chiediamo se la “democratizzazione” dei processi decisionali, che sempre più prestano l’orecchio alle organizzazioni non-governative spesso prive di conoscenza tecnica o che fanno riferimento a fonti scientifiche “alternative” che escono dai circuiti convenzionali, ma proprio per questo meno verificate ed attendibili, stia portando a scelte erronee che finiremo per pagare tutti, non solo il mondo produttivo. Ma forse, come speriamo, qualcosa sta cambiando. Le polemiche nel settore automative di queste settimane potrebbero essere una chiave di svolta, date le conseguenze economico-sociali, affinché l’opinione pubblica comprenda la gravità e le conseguenze delle prese di posizione pregiudizievoli che caratterizzano il “marketing ambientalista”.
(*) Vittorio Ticchiati è direttore di Compag