La pandemia che oramai ci attanaglia da oltre due anni ci ha costretti a numerosi disagi e limitazioni: impossibilità di vedere amici e parenti, sorrisi nascosti da mascherine che ostacolano il respiro, problemi per le più banali attività quotidiane, distanza sociale ma, soprattutto, segregazione forzata. D’un tratto le mura domestiche che ci accoglievano stanchi al rientro dal lavoro e che consideravamo un po’ il nostro “nido”, si sono trasformate per molti in insopportabili sbarre, talvolta mettendo a dura prova i nostri rapporti familiari più cari e il nostro equilibrio psicofisico.
Ecco allora che l’assenza di un giardino, di uno spazio aperto condominiale o di un terrazzo privato si fanno sentire più che mai durante le lunghe settimane di lockdown così come durante i giorni di forzata clausura.
Impennata della cura dei giardini
Non sorprende, allora, che attività legate proprio alla cura di giardini e terrazzi abbiano avuto, in quest’ ultimo periodo, un’importante impennata. Secondo l’osservatorio di Nomisma sugli effetti della pandemia da Covid 19, emerge infatti come il confinamento imposto dal governo o scelto responsabilmente dalle persone per precauzione, abbia fatto aumentare l’hobby del giardino e dell’orto, attività all’aria aperta mai tanto apprezzate come in questo periodo. I cosiddetti green lovers, gli amanti del verde, sono aumentati del 7% dal 2019 al 2020, arrivando a interessare più di un terzo della popolazione (si tratta del 39%, dato rimasto sostanzialmente stabile anche con l’allentarsi delle restrizioni più rigide legate al lockdown).
Il Covid non ferma gli hobbysti
Anche stando a quanto emergerebbe da un’indagine Coldiretti/Ixè, diffusa in occasione di un incontro intitolato “Il vivaismo italiano post Covid-19”, con la pandemia quasi 7 italiani su 10 (68%) sarebbero andati a “caccia” di piante nei vivai. Sempre secondo Coldiretti (su dati Gfk Sinottica), per godersi queste piante, il 74% delle famiglie può contare su un balcone, mentre il 42% vive in una casa con giardino (in alcuni casi una cosa non esclude l’altra).
Nonostante lo spazio molto spesso limitato a disposizione, la tendenza sembra comunque essere quella di trasformare terrazzi e balconi in veri propri giardini e orti, sfruttando soprattutto la verticalità. (...)
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Un’agricoltura urbana
L’agricoltura urbana può contribuire allora al crescente metabolismo urbano, ovvero al fabbisogno di prodotti freschi e sicuri per le città sempre più popolose del futuro, secondo un modello decentrato e diffuso che attenua la contrapposizione tra aree rurali produttrici e aree urbane consumatrici.
Inoltre, allargandoci appena oltre i limitati bordi dei nostri terrazzi e giardini privati, possiamo ritrovare anche il piacere delle relazioni con gli altri.
Un piacere del quale ormai troppo a lungo la pandemia ci ha privati.
I community garden urbani, che in periodi bellici avevano una funzione fondamentalmente produttiva, hanno infatti oggi una dimensione prevalentemente ludico-ricreazionale sempre più intergenerazionale, legata soprattutto alla cura delle relazioni e dei beni comuni.
Coltivare relazioni insieme a piante e ortaggi è una metafora spesso utilizzata in questi spazi comuni, all’interno dei quali l’agricoltura viene praticata in un’ottica fondamentalmente multifunzionale.
Attività sociali e civiche, infatti, ritrovano slancio all’interno di questi spazi, così come l’agricoltura urbana e periurbana ritrova slancio all’interno di attività nate con intenti inizialmente prevalentemente sociali.
Si tratta della cosiddetta agricoltura sociale, un ambito in crescita nel nostro paese e che coniuga all’agricoltura una serie di funzioni e attività a sfondo sociale, quali attività pedagogico-educative, riabilitative, di reinserimento lavorativo o di integrazione sociale.
Insomma, la passione per il verde oggi, nelle nostre città, può andare ben oltre la cura di terrazzi e giardini e servire per riappropriarci degli spazi urbani, della socialità perduta, così come dei prodotti che mangiamo e della nostra salute.