Ci si sarebbe aspettato che il forte aumento delle quotazioni delle produzioni agricole, registratosi dall’estate 2021 a tutto l’autunno scorso, avrebbe impattato maggiormente anche sul valore degli scambi con l’estero delle sementi, ma così non è stato. Certo, abbiamo un ulteriore aumento sull’anno precedente, ma con percentuali ben inferiori rispetto alle commodity.
Secondo i dati annuali diffusi dall’Istat nel marzo scorso, le importazioni dell’intero 2022 sono infatti cresciute complessivamente del 7% circa in valore rispetto al 2021. Le esportazioni sono salite invece dell’8% sempre in valore. L’impatto è stato ben maggiore nel 2021 rispetto al 2020, quando l’aumento arrivò in valore al 10% per le importazioni e al 18% per le esportazioni.
Sbalzi contenuti
È evidente che le sementi, sulle cui quotazioni incide in genere di più il valore della genetica e dei servizi aggiunti rispetto al costo della produzione agricola sottostante, sono meno esposte agli sbalzi talvolta repentini delle quotazioni delle produzioni agricole e sono in grado di assorbirli con maggiore facilità.
Per giudicare il settore è talora più utile esaminare il trend in atto, che singoli risultati annuali, e questo ci dice che il nostro paese sta consolidando la moltiplicazione e l’esportazione di sementi per le quali da tempo manifesta indubbie capacità e qualità (esempio, le sementi di ortaggi, di bietola da zucchero, di riso, di girasole, di erba medica e altre foraggere), mentre non riesce a risalire la china laddove sconta deficit importanti.
Le statistiche ufficiali di certificazione ci dicono infatti che le superfici destinate alla moltiplicazione di sementi di erba medica sono oramai stabilmente sui 35-40mila ettari annui, rispetto ai 10-15mila dei primi anni 2000, con il girasole, sui 2-3mila ettari rispetto a 800-1.000. Per il comparto delle sementi da orto e aromatiche, ci dice Assosementi con l’ultima indagine svolta per la campagna 2021, gli ettari in Italia sono stati oltre 36mila, compresi i 19mila ettari destinati al coriandolo, con una crescita del 28% rispetto all’annata precedente considerando le sementi prettamente ortive.
Nel 2022 le importazioni di sementi sono arrivate nel complesso a 567 milioni di euro di valore, mentre le esportazioni a 475 milioni. Ciò significa che prendendo a riferimento l’anno 2000, in poco più di 20 anni le importazioni sono poco più che raddoppiate in valori correnti, mentre le esportazioni sono quadruplicate.
Un mondo variegato
Vediamo ora qualche commento puntuale. Le sementi delle specie ortive nel 2022 hanno visto le importazioni scendere del 4% in valore rispetto al 2021 (con una quantità all’incirca stabile), mentre le esportazioni sono oramai da tre annate sui 130 milioni di euro. Per il riso, dove siamo il primo paese produttore in Europa, le esportazioni di sementi nel 2022 sono salite a 8 milioni di euro grazie in particolare a una maggiore quantità esportata (8.500 t nel 2022 rispetto alle 7.700 t del 2021). Per la soia, invece, pur anche in questo caso con una quantità analoga all’anno precedente, le importazioni sono salite di valore a 18 milioni/euro scontando il maggiore costo del prodotto da consumo.
Continuano a sorprendere le sementi di girasole, per le quali le importazioni sono arrivate a 41 milioni di euro (+70% sul 2021), anche per un sensibile aumento della quantità importata (+45%). Le esportazioni di converso sono balzate a 46 milioni di euro (+18%).
Tra le foraggere continua il trend positivo delle sementi di erba medica, con le esportazioni che sono salite a 53 milioni di euro (+29%), favorite da quotazioni molto favorevoli sui mercati internazionali. Non sono da meno le sementi di trifoglio, le cui esportazioni sono balzate a 27 milioni di euro (+69% rispetto al 2021).
Per finire questa veloce carrellata, le sementi di barbabietola da zucchero, le cui esportazioni hanno visto nel 2022 una contrazione del 9% in valore, causa la minore quantità di seme moltiplicato ed esportato (-8% rispetto al 2021). La superficie da seme ufficialmente controllata è infatti passata dai 5.800 ettari del 2021 ai 4.750 ettari del 2022 (-18% circa).
Da tempo in questo nostro commento annuale trascuriamo i dati forniti da Istat sugli scambi con l’estero di alcuni cereali, in particolare delle sementi di grano duro e di grano tenero, perché li giudichiamo non corretti. Nella tabella sono riportati i valori elaborati da chi scrive sulla base dei dati diffusi dall’Istat.
A questo proposito è necessario evidenziare che i valori dell’ultimo anno (in questo caso il 2022) vanno considerati provvisori. Diventano definitivi solo verso la fine dell’anno successivo, dopo che l’Istat ha provveduto a verificarli ed eventualmente rettificarli.
Sovranismo sementiero
Come non essere d’accordo con la professoressa Gullino dell’Università di Torino che reclama numeri e contenuti per evitare di “ricadere nella classica retorica bucolica”. E quindi quale occasione migliore dell’esame del bilancio degli scambi con l’estero per evidenziare qualche dato del mondo delle sementi non certamente in linea con lo strisciante sovranismo agro-alimentare che anche da prima dell’ultimo governo pervade il nostro Paese, con addirittura qualcuno che auspica che l’Italia debba produrre il 100% di quello che mangia. Presentando l’ultimo Agrifood Monitor, Nomisma ha sottolineato che il problema dell’autosufficienza delle filiere in Italia riguarda le principali coltivazioni: mais, frumento duro e tenero, orzo, soia, oleaginose, zucchero e frutta in guscio, con un fabbisogno del paese superiore alla produzione nazionale. E ciò puntualmente lo riscontriamo anche nelle sementi. Riusciamo a competere con la capacità di moltiplicarle in campo e di lavorarle, ma a livello di ricerca e costituzione di nuove varietà siamo davvero in una condizione critica.
A quest’ultimo riguardo le statistiche aggiornate del Cpvo (Community Plant Variety Office) sulle privative varietali (meglio note come brevetti vegetali) evidenziano ancora di più il deficit italiano in fatto di capacità di produrre innovazione varietale. Dal 1995, anno dal quale vengono rilasciate le privative comunitarie, soppiantando di fatto i titoli nazionali, il Cpvo ha complessivamente ricevuto poco più di 78mila domande di protezione,
- per specie agrarie (circa 20mila),
- ortive (12mila),
- fruttifere (5mila)
- e ornamentali (41mila).
I titoli rilasciati dal 1995 sono stati circa 62mila e quelli attualmente in vigore poco più di 30mila.
Ebbene, le domande presentate da titolari italiani sono state dal 1995 a fine 2022 complessivamente 2166 (724 ornamentali, 661 fruttiferi, 611 agrarie e 170 ortive). Se prendiamo l’anno 2021, nessun costitutore italiano figura tra i maggiori richiedenti privative per varietà di specie agrarie o ortive. Solo il Crea e il Civ sono nei primi 15 per i fruttiferi. Come paese e numero di domande, la classifica è dominata dall’Olanda (con circa 1.200, pari mediamente ogni anno ad un terzo delle richieste ricevute dal Cpvo), seguita da Francia (480), Germania (460) e Stati Uniti (390) e poi l’Italia (150).
Meglio, quindi, tenere i piedi ben per terra, senza inseguire obiettivi chimerici.
Leggi l’articolo su Agricommercio e Garden Retail n. 3 - maggio 2023
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