Il mais è un cereale che sta assumendo a livello mondiale una diffusione e un’importanza crescenti. L’aumento delle superfici investite è senza dubbio legato alla sua utilizzazione nel settore zootecnico, pur continuando a essere, in molti Paesi, una delle principali risorse per l’alimentazione umana. Il mais fu conosciuto dagli europei un mese dopo la scoperta dell’America, all’interno di Cuba, dove era chiamato maíz. La prima rapida diffusione del mais in Europa si ebbe nel 1600, nelle regioni Balcaniche, allora facenti parte dell’Impero Ottomano, grazie alle condizioni climatiche favorevoli che assicuravano produzioni di granella più che doppie rispetto ai cereali tradizionali e, forse, anche al fatto che questo nuovo prodotto agricolo, non ancora rubricato, sfuggiva alla tassazione.
Qualche tempo dopo il mais iniziò a diffondersi in Italia, probabilmente con varietà provenienti dai vicini Balcani (da cui forse deriva il nome popolare di “granoturco”). Le regioni della Pianura Padana, e in particolare quelle nord-orientali, grazie al clima favorevole furono quelle che introdussero il mais nei loro ordinamento colturali con larghezza tuttora insuperata. Ma anche le regioni peninsulari centrali trovarono nel mais un valido contributo al precario sostentamento alimentare delle popolazioni agricole.
Nell’agricoltura tradizionale veniva coltivato con la tecnica dei “tre campi”, uno a mais e due a frumento, con gli spazi marginali occupati dai filari di vite maritata ad alberi vivi: questa formula corrispondeva esattamente alle esigenze della piccola proprietà, permettendo di ottenere il prodotto con cui pagare i tributi (in grano) e quanto serve per una seppur minima alimentazione (in mais, cioè polenta).
Escalation delle rese
Negli ultimi 30-40 anni si è assistito a un aumento costante delle produzioni medie, che nel nostro Paese sono passate dalle 2-3 t di granella per ettaro alle 12 e anche 15 t per ha.
Tale progresso è dovuto sia alla sostituzione delle vecchie varietà a seme vitreo con gli ibridi a seme farinoso molto più produttivi, sia al progressivo miglioramento delle tecniche colturali, che si sono diffuse oramai su vasta scala.
Il mais è così progressivamente scomparso dalle aree marginali non irrigate, dove dà rese modeste e incostanti, e si è localizzato quasi esclusivamente nelle zone più fertili, irrigate.
Le regioni italiane più intensamente maidicole sono Veneto, Lombardia, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia: da sole queste quattro regioni producono circa 2/3 di tutto il mais prodotto in Italia. Il mais è pochissimo coltivato nell’Italia Meridionale, e praticamente assente nelle isole.
La produzione nazionale copre l’85% del fabbisogno interno (rappresentato quasi esclusivamente dall’impiego zootecnico), che pertanto deve essere coperto ricorrendo all’importazione, soprattutto dagli Usa e dal Sud America.
La produzione di mais in Italia
Oggi gli ettari investiti a mais in Italia sono oltre 614mila. È quanto emerge dai dati pubblicati da Ismea a fine novembre 2018. Siamo al punto più basso di una lunga tendenza flessiva che ha portato la superficie a mais di ridursi a 40% negli ultimi 20 anni.
Nel 1999, infatti, la coltivazione del mais in Italia interessava oltre 1 milione di ettari e garantiva una produzione di circa 10 milioni di tonnellate, coprendo quasi il 90% del fabbisogno nazionale. Oggi produciamo poco più di 6 milioni di tonnellate con un livello d’importazioni più che quadruplicato rispetto a 20 anni fa.
La nostra dipendenza dall’estero è aumentata esponenzialmente, passando dall›11% all’inizio del nuovo millennio al 47% nel 2017. Le motivazioni del progressivo calo di questa coltura secondo Ismea vanno ricercate innanzitutto nelle condizioni climatiche sempre meno favorevoli e negli alti costi di produzione che hanno spinto molti agricoltori a spostarsi sulla soia.
L’annata 2019
Purtroppo è un po’ opaca, anche a causa delle condizioni atmosferiche, l’annata che si è appena conclusa per i produttori di mais. Dopo i segnali di ripresa dello scorso anno, che nella primavera scorsa hanno indotto qualche cerealicoltore in più a seminare mais, abbiamo assistito purtroppo a un’annata da dimenticare con rese sotto la media.
Una nota positiva viene invece dalla qualità e dalle caratteristiche igienico-sanitarie del prodotto derivanti da possibili contaminazioni di aflatossine e non che è risultata soddisfacente e nella stragrande maggioranza dei casi entro i limiti di legge.
Sicuramente una corretta politica del settore potrebbe contribuire a un rilancio della coltura, grazie anche all’adozione delle varietà migliori per i nostri cereali tenendo conto anche della variazione climatica in atto.
Leggi l’articolo completo dei dettagli della rassegna delle più interessanti
varietà di mais sul mercato e delle opinioni dei tecnici del settore
su AgriCommercio & Garden Center n. 7/2019
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