In un anno come il 2023, che ha visto da un lato il progressivo rientro delle quotazioni dei prodotti agricoli dai picchi toccati nel 2022 e, dall’altro, il danneggiamento o la distruzione di molte colture, anche sementiere, per gli eventi atmosferici negativi, il commercio di sementi con i Paesi esteri evidenzia per l’Italia una continua progressione dei valori scambiati, insieme a una risalita del disavanzo, aumentato del 16% rispetto al 2022. I dati di fine anno diffusi dall’Istat, per quanto da ritenersi ancora provvisori, consentono di sviluppare un’analisi puntuale, così come di entrare in alcune dinamiche.
I numeri
Il valore delle importazioni ha toccato nel 2023, secondo il nostro esame, i 592 milioni di euro, rispetto ai 559 dell’anno precedente, mettendo a segno un aumento del 5,7% su base annua. Tali valori sono da anni in costante crescita: rispetto al 2005, ad esempio, quindi nell’arco di poco meno di vent’anni, sono saliti di circa il 130%! A cosa è dovuto questo aumento? A maggiori quantitativi importati oppure all’incremento dei prezzi? Non c’è una risposta univoca. Le specie coinvolte sono ovviamente tante. In alcuni casi è evidente un incremento delle quantità (girasole, sorgo), in altri delle quotazioni (patate da seme, sementi da orto, bietola da zucchero). In generale, però, ad incidere è soprattutto la crescita dei prezzi, perché le quantità sono rimaste più o meno costanti, anzi talvolta sono diminuite sensibilmente (mais ibrido semplice e soia, ad esempio). Per restare sulle importazioni, le voci che nel 2023 hanno determinato l’aumento dell’esborso rispetto al 2022 sono le sementi da orto (+10%) e le sementi di mais (+37%).
Passando invece alle esportazioni, sono anch’esse aumentate in valore, salendo a 498 milioni di €, il 4,2% in più rispetto al 2022. Tuttavia, rispetto al 2005 l’incremento è di oltre il 230%. Il tutto è attribuibile a poche specie, o gruppi di specie: le sementi di ortive, il mais ibrido, il girasole, l’erba medica e la barbabietola da zucchero coprono da sole ben il 75% in valore del totale esportato.
Un deficit “strutturale”
Come più volte sottolineato in passato, il passivo negli scambi di sementi dell’Italia con gli altri Paesi può definirsi strutturale e dipende, a giudizio di chi scrive, dal sottostante deficit di ricerca genetica e varietale. Riusciamo a limitare in parte il passivo grazie all’attività di moltiplicazione, a favore di aziende estere. Le quali preferiscono poi riportarsi a casa il seme grezzo, per selezionarlo e valorizzarlo commercialmente. Valgano ad esempio le sementi di ortive e le sementi di barbabietola da zucchero. Per le prime, genericamente, dato che le specie coinvolte sono molto diverse, il prezzo unitario generale di quanto esportiamo si è aggirato ultimamente tra i 10 e i 13 €/kg, ma il seme importato lo abbiamo invece pagato quasi 50 euro. Per le seconde, esportiamo il seme moltiplicato a circa 4-5 € al kg, ma importiamo quello selezionato, pronto da seminare, anch’esso vicino ai 50 euro.
Se prendiamo tre paesi europei con i quali abbiamo importanti scambi e di cui conosciamo il valore della ricerca varietale e delle relative aziende sementiere di punta, troviamo un saldo nazionale diverso. La Francia, secondo l’ultimo rapporto dell’interprofessione Semae, nel 2021-22 ha importato sementi per un valore di 850 mln/€ ed esportato per 1.960 milioni, con un saldo attivo di 1.100 milioni di euro; da sottolineare le esportazioni di mais, date pari a 720 mln/€, di ortive a 500 mln/€ e di proteoleaginose a 420 mln/€. La Germania, nel corso del 2020, ha importato sementi per 900 mln/€ ed esportato per 965 mln/€, mentre l’Olanda ha invece avuto un import di 1.150 mln/€, ma un export per 2.800 mln/€, di cui ben 2.000 milioni solo di sementi da orto!
I mercati di sbocco
Si è soliti sottolineare che l’Italia è un paese rinomato per la qualità delle sue moltiplicazioni di sementi, in larga parte realizzate su commissione.
Non abbiamo però mai approfondito i principali paesi di destinazione di tali produzioni, almeno per le specie più importanti. Partiamo dalle sementi di bietola da zucchero. Nel 2023 ne abbiamo esportate in Germania per un valore pari a 48 milioni di €, vale a dire il 77% del totale. Per le orticole, sono stati oltre 125 i paesi di destinazione, con l’Olanda al primo posto per un valore di 21 mln/€, seguita da Francia con 9, Giappone con 8 e Germania con 6 milioni di euro. L’Istat elenca anche l’Algeria tra le prime destinazioni, al secondo posto dopo l’Olanda, con 19 mln/€: più che un exploit, pensiamo sia un errore nelle rilevazioni.
Sempre per le sementi ortive, ne abbiamo importate nel 2023 per 103 mln/€ dall’Olanda, il 42% del totale, per 82 dalla Francia, per 15 dalla Spagna e per 14 dalla Spagna. Questi quattro Paesi, da soli, coprono l’87% in valore delle sementi da orto importate dall’Italia. Riguardo le sementi di mais ibrido semplice, esportiamo soprattutto verso i Paesi europei come Romania, Spagna, Francia, Grecia e Ungheria per il 70% del totale, mentre le importazioni arrivano in ordine dalla Francia (il 50%), dalla Turchia e dall’Ungheria. Da sottolineare che, causa la questione ogm, gli scambi per questa specie con gli Stati Uniti si sono quasi azzerati.
Passando alle oleaginose, con la soia le sementi che esportiamo sono destinate per oltre il 70% alla Romania; quelle che importiamo provengono invece per l’80% dagli Stati Uniti. Riguardo le sementi di girasole, il nostro primo cliente è l’Austria, seguita da Bulgaria, Francia e Spagna. Come importazioni, la principale provenienza con oltre il 51% è la Turchia.
Guardiamo infine alle foraggere, nello specifico alle sementi di erba medica, che dal 2005 a oggi hanno visto raddoppiare il quantitativo esportato, ma pressoché quadruplicare il relativo valore. Le importazioni, sempre rispetto al 2005, sono crollate. Tuttavia, i dati Istat del 2023 mostrano un concreto aumento sul 2022, 35mila q.li rispetto a 19mila, evidente segnale della ricerca di una ricopertura commerciale da parte delle aziende sementiere, viste le deludenti produzioni interne nell’annata.