I progressi di tecniche e conoscenze nel settore della difesa integrata delle colture sono stati veramente incredibili negli ultimi anni. Difesa integrata significa “combinazione ottimale di tutti i possibili mezzi fisici, agronomici e biologici per minimizzare l’uso degli antiparassitari chimici”.
Esistono esempi concreti di aziende agricole, leader soprattutto in serricoltura, che riescono a coltivare per un intero ciclo annuale senza l’uso di alcun prodotto di sintesi, per cui fanno sorgere spontanea una domanda: è possibile ipotizzare oggi un’agricoltura completamente affrancata dalla chimica?
Pensiamo che la risposta sia sicuramente positiva, non solo perché alcune avanguardie lo stanno già dimostrando, ma anche perché sembrano averlo capito soprattutto i principali attori del settore, ovvero i produttori stessi di antiparassitari, protagonisti nell’ultimo paio d’anni di un vero e proprio “shopping planetario” di molte delle maggiori fabbriche di mezzi di difesa biologici: insetti utili, funghi entomopatogeni e micorrizici, enzimi, estratti vegetali, induttori di resistenza, etc.
Non sarà un processo semplice, ovviamente, in quanto richiede non solo la disponibilità di tecniche e prodotti specifici, ma necessita soprattutto di un cambio radicale di mentalità da parte degli agricoltori. La strada maestra appare però ormai tracciata.
Alla luce di questi fatti e tendenze, ci sembra sia possibile ipotizzare una completa rinuncia all’opzione della chimica tradizionale su larga scala nell’arco di massimo un decennio, almeno nel settore delle colture protette, dove maggiori sono le possibilità di controllo, sia sui parametri climatici, che possono favorire le malattie crittogamiche, sia sull’ingresso di insetti e acari patogeni.
Per quel che riguarda il pieno campo, sicuramente servirà più tempo, forse 15-20 anni da ora, vista la scarsa o nulla possibilità di controllo degli eventi climatici, ma anche lì prima o poi possiamo arrivare. Anche la possibilità di limitare l’accesso agli insetti e acari nocivi è scarsa, ma potrebbe essere sicuramente potenziata, se il controllo passasse dal livello dei singoli agricoltori a quello comprensoriale. Quindi anche le politiche agricole dovrebbero rientrare obbligatoriamente nel concetto di “difesa integrata”.
Genetica innanzitutto, ma anche igiene
Il primo passo fondamentale di qualsiasi programma integrato è sicuramente la scelta di varietà resistenti alle principali malattie virali e dell’apparato radicale. Se usiamo ad esempio il pomodoro come “coltura guida” del nostro breve excursus, è sicuramente di grande aiuto poter iniziare il ciclo con piante altamente resistenti al virus del mosaico, dell’accartocciamento fogliare giallo (TYLCV) o del TSWV.
Anche la resistenza ai nematodi, “nemico numero uno” per chi coltiva a terra in ambiente mediterraneo, può aiutare, ma qui ci possono venire in soccorso anche l’uso dell’innesto su piede resistente o le colture fuori suolo su substrati sterili.
E non dimentichiamo mai di applicare le basilari norme di igiene e profilassi, troppo spesso trascurate dagli agricoltori: rimozione accurata dei residui colturali a fine ciclo (e loro distruzione o allontanamento dal sito di coltivazione!); continua disinfezione degli strumenti di lavoro; accesso con abiti e calzature disinfettati o “usa e getta”, sia da parte di tecnici e operai aziendali, sia di visitatori esterni; etc. etc. Purtroppo il primo a infrangere queste regole è spesso il titolare dell’azienda, per cui chi è causa del proprio male pianga se stesso.
L’igiene è fondamentale, non solo per la prevenzione contro virus e malattie fungine radicali, ma anche e soprattutto contro le batteriosi, verso le quali la resistenza genetica è spesso assai scarsa.
Seconda “diga”: i mezzi fisici
Per quel che riguarda invece la prevenzione dai rischi di attacco di insetti e acari, la seconda “diga di difesa”è rappresentata sicuramente dai mezzi fisici.
Il principale è per forza la protezione di tutte le aperture della serra con reti anti-insetto. Molti danno importanza solo alla fittezza (densità di fili) delle reti, ma non è assolutamente sufficiente. Anche la qualità del materiale e la tecnica di tessitura giocano un ruolo importante.
Per non parlare delle modalità di installazione: chi non ha mai visto reti di eccellente qualità, ma fissate con clips che invece di bloccarle le lacerano? Oppure porte di accesso alle serre doppie o triple, tanto da ostacolare fortemente anche l’ingresso degli operai, ma seguite poi da reti rammendate alla buona proprio sulla parete contro vento, da cui entra di solito il 90% della mosca bianca che circola nei paraggi?
Usate bene, invece, le reti sono una colonna “fisica” fondamentale della difesa integrata, volendo anche in pieno campo. Un esempio a tal proposito può essere la coltura dello zucchino, molto sensibile alle virosi veicolate da insetti, sotto tessuto-non tessuto, il quale viene scoperto solo in fase di raccolta.
Un esempio estremo di difesa fisica, nel settore delle colture protette, è oggi rappresentato dal modello di “serra chiusa” che, a partire dall’Olanda, sì è già diffuso anche in altri Paesi: la struttura è continuamente in sovra-pressione, quindi l’accesso di insetti o acari dalle uniche finestrelle di compensazione, protette da fitte reti, è assai scarso o nullo.
Tra i tanti mezzi fisici a disposizione, in serra vanno ricordati sicuramente anche i sistemi di riscaldamento e raffrescamento (ventilazione naturale o forzata, cooling e fog system, etc.). Entrambi hanno lo scopo sia di mantenere i valori di temperatura ideali per lo sviluppo delle colture, tanto in inverno che in estate, ma anche di controllare le malattie crittogamiche, notoriamente indotte da valori di umidità relativa alti e persistenti.
In una serra di alto volume, dotata di adeguate aperture di ventilazione e di impianti di climatizzazione ben dimensionati e gestiti da computer climatici, è oggi concretamente possibile azzerare l’uso di anti-crittogamici di sintesi. Anche in serre mediterranee passive, ma ben gestite, è possibile ridurli fortemente. L’esperienza dimostra che almeno metà dei trattamenti oggi mediamente effettuati in serra sono come minimo inutili, se non spesso dannosi, frutto dell’ignoranza degli operatori, e che quindi genera paure spesso irrazionali.
I mezzi biologici: la vera rivoluzione
Se c’è un settore della difesa integrata, tuttavia, dove abbiamo assistito recentemente alle maggiori innovazioni, questo è quello dei mezzi biologici. Non solo insetti utili (predatori, parassitoidi, etc.), ma anche funghi e nematodi entomopatogeni, enzimi, estratti vegetali, induttori di resistenza, etc.
È il settore dove negli ultimi due anni, come accennavamo all’inizio, si sono concentrate maggiormente le mire di accorpamento delle principali multinazionali della chimica. Qualcuno superficialmente ha pensato “con lo scopo di togliere di mezzo potenziali concorrenti”. Non si sono mai visti investimenti per centinaia di milioni di euro per eliminare dei concorrenti. È chiaro invece che si tratta di scelte strategiche a medio-lungo termine: il futuro è nella difesa biologica e non chimica, la quale continuerà a convivere in tutti i programmi di difesa integrata, ma in misura sempre più ridotta e selettiva.
Questo vale anche per la disinfezione del terreno. Il bromuro di metile ci ha ormai praticamente abbandonato del tutto a livello mondiale, ma anche i suoi “eredi” non sembrano godere di lunga vita.
Aumentano infatti ogni giorno di più gli esempi di colture dove gli apparati radicali possono essere validamente protetti tramite l’inoculo di micro-organismi, sia con funzione di “competizione nutrizionale o ambientale”, quali il Trichoderma, che occupa preventivamente la stessa “nicchia ecologica” ambita dai patogeni tellurici; sia di funghi micorrizici, i quali non solo proteggono le radici, ma ne potenziano enormemente anche le capacità di esplorazione del terreno. Non è la prima volta che verifichiamo rese sensibilmente superiori in terreni trattati con Trichoderma e funghi micorrizici, rispetto al testimone fumigato chimicamente.
Molti si preoccupano dell’imminente fine del petrolio, ma quasi tutti trascurano l’allarme che lanciano da anni Nazioni Unite e ricercatori “illuminati” sul futuro del nostro pianeta: molto prima dei giacimenti di gas o petrolio si esauriranno le miniere di fosforo, una delle 3 colonne portanti della triade NPK, che ci permette di produrre il cibo per sopravvivere.
Uno dei principali vantaggi delle micorrize è proprio quello di aumentare di decine di volte la capacità delle radici di esplorare il terreno, in particolare per l’assorbimento dell’assai poco mobile Fosforo.
Dovremo ringraziare un “umile fungo” per continuare a sfamare un’umanità di 9 miliardi di persone nel 2050? Molti addetti ai lavori sono convinti di sì. Sicuramente nell’immediato ci possono aiutare a ridurre o azzerare la fumigazione chimica, a intossicare meno i nostri terreni, a lasciare meno residui chimici sui nostri alimenti. Spesso ci aiuteranno anche a produrre di più e meglio, che all’agricoltore non dispiace.
(*) L’autore è del Ceres srl – Società di Consulenza in Agricoltura
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