Per parlare del nuovo regolamento Ue sui fertilizzanti (che si applicherà dal luglio 2022), iniziamo dal principio e, per l’esattezza, torniamo al 2012 quando la Commissione Ue, tramite il Fertilizer Working Group (FWG), formò 4 gruppi di lavoro che avrebbero dovuto individuare le modalità di realizzazione di un’eventuale nuova legge sui fertilizzanti che sostituisse il regolamento 2003/2003.
Nel 2014 ci furono le elezioni europee e il progetto sul nuovo regolamento fu messo da parte. Sembrava tutto destinato a finire ma, grazie al pacchetto sull’economia circolare, si tirò fuori dal cassetto il regolamento che però doveva essere coerente con i nuovi requisiti desiderati dal parlamento appena eletto. Le proposte e i suggerimenti dei gruppi di lavoro furono accantonati e la Commissione stilò una prima bozza di regolamento molto simile a tante altre norme tecniche già in vigore.
Questo nuovo e inatteso scenario spiega, ad esempio, perché si sia perso moltissimo tempo sul cadmio facendolo diventare quasi una questione di vita o di morte mentre tanti altri problemi, ben più importanti dal punto di vista agronomico e commerciale, sono stati completamente tralasciati e mai approfonditi. Ancor di più preoccupa il fatto che questi temi non hanno stuzzicato nemmeno gli interessi degli addetti ai lavori, rappresentanti delle varie associazioni europee.
Alle fine del 2018 la legislatura volgeva al termine ed era, a quel punto, necessario riuscire a trovare un compromesso che salvasse il lavoro di tanti anni. Si è quindi adattata la norma alle necessità socio-politiche, facendo perdere al regolamento molti contenuti tecnici che invece avrebbero dovuto essere trainanti.
Economia circolare
Relativamente al settore fertilizzanti viviamo in un’epoca in cui è davvero complicato riuscire a rendere adeguato e a norma un prodotto che deve essere distribuito sul terreno.
A livello regionale esistono moltissimi esempi di tentativi virtuosi che si sono scontrati contro un’interpretazione delle norme su inquinamento e rifiuti che ha tarpato le ali a tante iniziative. In ogni caso, in Italia ma anche in altri Stati membri, esistono molti impianti di produzione di fertilizzanti che lavorano già da anni sui concetti dell’economia circolare.
L’uso di sottoprodotti di varia natura organica così come di prodotti recuperati, altrimenti destinati alla distruzione come rifiuto, è pratica “antica”, e già la prima legge italiana sui fertilizzanti (1984) ne conteneva alcuni esempi. Però il margine di contribuzione di questi prodotti è molto limitato ed è poco logico pensare che i fertilizzanti derivati da attività di recupero possano essere trasportati a grandi distanze in giro per l’Unione Europea, nella maggior parte dei casi si tratta di prodotti che devono essere commercializzati in un raggio di pochi km dal luogo di produzione. In realtà non pochi esperti del settore storsero subito il naso quando iniziarono a circolare i primi dettagli del testo di legge e apparve subito chiaro che poche nazioni organizzate avrebbero spedito i loro ex-rifiuti in giro per l’Europa.
Vi sono municipalizzate di grandi città europee che hanno milioni di tonnellate di fanghi civili trattati che non riescono a distribuire nei loro dintorni ed avrebbero gioco facile a collocarle in altri Stati membri, grazie al marchio Ce, per di più sotto l’ombrello dell’economia circolare.
Libera circolazione
Un altro cavallo di battaglia della norma è la possibilità data a tutti i concimi a marchio Ce di poter essere commercializzati liberamente; oggi è possibile farlo solo con buona parte dei concimi minerali.
Teoricamente è tutto corretto e molto affascinante se non fosse per alcune criticità che è opportuno evidenziare.
La nuova norma si applicherà da luglio 2022; entro quella data la Commissione dovrebbe emanare un consistente numero di atti delegati che renderanno il regolamento effettivo anche dal punto di vista pratico (ad oggi alcune importanti famiglie di costituenti non sono ancora previste).
Tra le varie cose da fare ci sono le norme armonizzate che consentiranno di valutare i prodotti dal punto di vista chimico-fisico ma anche relativamente ai claim in etichetta. Ricordiamo che le norme sono in capo al Comitato europeo di normalizzazione (Cen) i cui lavori hanno prodotto circa 150 norme per il settore fertilizzanti negli ultimi 24 anni.
Il regolamento sui prodotti fertilizzanti richiede la stesura di circa 230 norme, per alcune delle quali i passaggi presso i tavoli tecnici saranno relativamente veloci, ma per altre si deve iniziare da zero (vedi riquadro “I lavori del Cen”).
In realtà il regolamento consentirebbe di utilizzare norme non armonizzate ma a quel punto si ridurrebbe a pochi casi la possibilità della libera circolazione, solo qualcuno in più rispetto a quello che è possibile fare oggi.
In pratica se un produttore italiano di concimi organici applica il metodo nazionale per determinare il contenuto di carbonio organico dichiarato in etichetta, qualche Stato membro potrebbe non riconoscerne la validità e quindi impedire la commercializzazione di quel concime.
Altri impedimenti potranno sorgere per i prodotti da utilizzare sulle coltivazioni biologiche (per gli approfondimenti vedi Agricommercio n.8/2019), visto che quello che oggi è ammesso in un Paese non è detto lo sia anche in un altro.
Etichette comprensibili
Quando iniziarono i primi lavori, nel 2012, la Commissione sottolineò che era necessario creare etichette di facile comprensione e con informazioni utili per gli utilizzatori finali.
Premettiamo che il regolamento si riferisce alla “messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti” e non ne disciplina in alcun modo l’impiego. La struttura stessa della norma è quindi finalizzata a favorire le attività di controllo e certificazione piuttosto che rivolgersi a coloro che il fertilizzante lo devono usare.
C’era una volta il “tipo” e l’agricoltore ha familiarizzato con i nomi dei concimi, dall’urea al nitrato ammonico, passando per il fosfato biammonico 18/46 e il concime NPK 15/15/15, oggi esistono i materiali costituenti (CMC) che devono obbligatoriamente essere utilizzati per formare (al 100%) un prodotto la cui funzione deve essere ben chiara.
Da qui, la necessità di indicare in etichetta non solo la funzione, non solo le famiglie dei CMC utilizzati ma, ad esempio, nel caso dell’NPK 15/15/15, anche la lista di tutte le sostanze chimiche che lo compongono almeno per il 5%.
L’agricoltore non troverà quindi solo i riferimenti a N, P2O5 e K2O ma anche un elenco di almeno 8-9 sostanze, tanto per semplificargli la lettura.
Dal punto di vista agronomico la norma impone di indicare le istruzioni per l’uso previsto, compresi le dosi, il periodo, la frequenza di applicazione e le piante su cui distribuire il fertilizzante. Ancora una volta si dimostra la miopia di chi ha consentito di rendere obbligatorie tali dichiarazioni. Un fabbricante che vuole evitare la sanzione per aver omesso un’informazione obbligatoria richiesta dal regolamento, sarà costretto a mettere pochissime e generiche informazioni solo per soddisfare i controllori ma non certo per agevolare l’uso da parte degli agricoltori.
Si immagini di voler elencare nel citato NPK 15/15/15, coltura per coltura, epoca per epoca, quanti kg/ha utilizzare, quante volte farlo, casomai farcendo il tutto con qualche informazione (anch’essa obbligatoria) su come distribuire il prodotto se contiene azoto ureico. Con buona pace dell’agricoltura di precisione.
La distribuzione
Concludiamo la disamina delle criticità della nuova norma concentrandoci sul canale distributivo.
Per la prima volta c’è un articolo (il n. 9) che impone alcuni obblighi per i distributori e, con molta probabilità ci sarà una norma nazionale che stabilirà la multa per la violazione di questo articolo. (…)
Leggi l’articolo completo su AgriCommercio & Garden Center n. 8/2019
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