«Per i fertilizzanti la situazione non è mai stata critica come quest’anno, neppure nel 2008 che già fu un anno difficile – affermava Oriano Bezzi ad di Panfertil, (società che importa e produce fertilizzanti con sede al porto di Ravenna) in un intervista alla nostra rivista dell’aprile 2022 -. Al momento mancano 200mila tonnellate di urea e la situazione non accenna a migliorare in conseguenza anche della chiusura di Yara che avrebbe prodotto a prezzi inaccessibili».
Adesso però le cose sembrano essere un po’ cambiate ed abbiamo chiesto a Bezzi com’è la situazione oggi.
«Il Covid prima e poi la guerra in Ucraina hanno creato una serie di complicazioni anche per il comparto dei fertilizzanti – ricorda Bezzi -. A questi eventi, che hanno comportato cambiamenti nelle quotazioni, il mercato ha reagito in maniera schizofrenica. A lunghi periodi con assenza di domanda è seguita una concentrazione delle richiesta in prossimità dell’impiego del fertilizzante. Così, in un mese e mezzo, abbiamo avuto una richiesta di prodotto equivalente a quella che normalmente si ha nell’arco di 3-4 mesi. Questo ha messo in crisi tutta la logistica, con grossi problemi nel reperimento dei mezzi di trasporto e di manodopera. Senza parlare delle difficoltà di riapprovvigionamento: per fare arrivare una nave di fertilizzante, infatti, non basta qualche giorno ma ce ne vogliono almeno 30-40, con grosse complicazioni per tutto il sistema».
Adesso, nello specifico, cosa sta succedendo?
«Dal 1° novembre al 20 gennaio non si è venduto praticamente nulla poi, all’improvviso, con i primi sentori di prezzi al rialzo è partita la bagarre, e dal Brennero alla Sicilia, tutti stanno ordinando fertilizzanti. In questo contesto noi oggi abbiamo ordini che non riusciremo a evadere prima di una ventina di giorni».
I prezzi crescono ancora o la situazione si è ridimensionata?
«Per fortuna, adesso, i prezzi non sono più sulle montagne russe. Ci siamo lasciati alle spalle il periodo in cui l’urea era schizzata dai 350-400 €/t a oltre 1000, e le quotazioni tornano a stabilizzarsi su 400-420 €/t. Le oscillazioni ormai sono di modesta entità e non superano i 20-30 € tonnellata in più e in meno. In confronto a quello che si era visto negli ultimi due anni si tratta di un’inezia, ma anche piccole variazioni di listino possono comunque scatenare la domanda o di farla fermare».
Ma cosa è successo a livello internazionale?
«Il Covid ha avuto un impatto importante sul mercato. Per esempio, in Paesi di grandi produzioni e di grandi consumi come India e in Cina si sono verificati interruzioni delle forniture. Quando poi le cose si andavano stabilizzando è esplosa la guerra in Ucraina. E lì è successo un po’ di tutto: ci sono state le sanzioni alla Russia e l’impennata del costo del gas che ha portato a un forte aumento dei costi dell’energia e conseguentemente della produzione dei fertilizzati in tutto il mondo.
In questo contesto si sono anche viste cose molto strane come la Russia che, nonostante le sanzioni, ha fatto il record di introiti di valuta pregiata con le vendite di fertilizzanti. Forse non sono stati fatti bene i conti se la Russia ha incassato più soldi mettendo fuori meno merce... Adesso il costo del gas è ridisceso, non dico che sia ritornato ai livelli precrisi, ma non è troppo più alto. E quindi abbiamo la speranza che tutto si possa gradualmente sistemare; le precedenti oscillazioni non permettevano infatti di effettuare nessuna pianificazione».
Come si gestiscono queste oscillazioni?
«Chi è coinvolto cerca di mediare e non deve guardare il costo del momento ma quello che in generale si chiama il replacing price, cioè il costo di riacquisto. Se hai della merce che ti è costata 300 € ma che per andarla a comprare ce ne vogliono 800, non la puoi vendere a 350 ma la devi vendere a un prezzo congruo, e questo vale nei due versanti, positivo e negativo, dell’escursione del prezzo.
È una situazione che presenta forti rischi per tutti e non c’è modo di affrancarsi dal rischio. In questo contesto si può scegliere se fare una retromarcia veloce e rimanere ai bordi del mercato, con un’attività minima, oppure decidere di continuare la propria attività cercando di bilanciare le cose e accettare di affrontare tutti i rischi del caso».
In questo contesto serve un po’ di esperienza e lungimiranza, ma forse anche un po’ di fortuna…
«Assolutamente sì. questo è chiaro. Bisogna seguire con attenzione i mercati internazionali e disporre di informazioni sempre aggiornate. In questi periodi, sapere le cose per tempo rappresenta un elemento vincente».
L’ondata green per qualcuno è considerata destabilizzante. E anche la stessa Ue sta facendo qualche passo indietro come sulla normativa relativa alla gestione degli agrofarmaci. Lei cosa ne pensa?
«L’ondata green certamente ha un suo un suo valore ma è necessario fare chiarezza. Nel recente passato sono stati utilizzati prodotti di una tossicità che oggi fa rabbrividire. Se pensiamo ai prodotti che usavano gli agricoltori nel 1960-70, c’è da mettersi le mani nei capelli. Oggi i prodotti più pericolosi sono stati eliminati e quelli attualmente sul mercato sono molto meno pericolosi e meno inquinanti. Sarebbe ora che qualcuno provasse a spiegare anche ai Verdi, però, che il fertilizzante non è un doping ma il cibo per le piante. Rappresenta infatti la restituzione ai terreni agrari di quei sali minerali dei quali o sono scarsamente provvisti o hanno perso in conseguenza dello sfruttamento industriale delle culture».
C’è innovazione nel settore dei fertilizzanti e quanto questa può influire sull’andamento del mercato?
«L’innovazione c’è ed è soprattutto di recente acquisizione. È entrata però con forti resistenze. Sono14-15 anni, infatti, che utilizziamo molecole che inibiscono o rallentare la nitrificazione mentre recentemente si stanno ampliando famiglie di prodotti innovativi come i biostimolanti.
Il mercato agricolo italiano però è un mercato tradizionalista spesso restio alle novità. Le novità, per altro, vengono apprezzate se forniscono un risultato chiaro e immediato, che si può subito toccare con mano, altrimenti difficilmente riescono a essere capite. Oggi disponiamo di una serie di prodotti che vent’anni fa non esistevano sui nostri mercati, magari erano presenti su quelli americani, mentre in Europa la legge comunitaria frenava la loro introduzione. Ricordo, fra l’altro, che quando cominciammo a fare le prime inibizioni dell’urea e del solfato ammonico dovevamo mettere un dépliant a parte per spiegarle perché non potevamo scrivere sul sacco che quello conteneva un prodotto con annesso inibitore.
Anche per il fosforo stanno venendo fuori dei prodotti che lo rendono più disponibile evitando che venga catturato dal terreno. Si sa infatti che poi il fosforo, quando si fissa nel terreno, non lo prendi più. La protezione del fosforo non sta avendo però lo stesso successo dei concimi azotati con inibitori. D’altra parte la concimazione fosfatica è in crisi perché in Italia abbiamo esagerato nel passato. Nel 1976-77 il mercato italiano dei fertilizzanti era di 7 milioni di tonnellate mentre oggi siamo sui 3milioni 3 milioni e mezzo. E chi ha fatto le spese di questa diminuzione è prevalentemente il fosforo».
Le chiedo, infine, come stanno andando i pagamenti dei prodotti? I tempi sono sempre molto lunghi?
«Ovviamente siamo costretti a fare un’accurata e approfondita selezione della nostra clientela e disponiamo di assicurazioni che coprono il rischio credito, cercando di muoverci nella maniera la più prudente possibile. È ovvio che negli ultimi due o tre anni le impennate e le concentrazioni di consumo in tempi brevi, di cui abbiamo parlato, ci hanno creato dei problemi. Infatti il cliente che paga in 60 giorni se vuole tutto in un mese mette a rischio il mio fatturato. Lavorando invece su sei mesi il rischio si riduce a 1/3. Senza aprire un capitolo polemico nei confronti di alcune categorie, posso dire che, incrociando le dita, per noi per il momento, le cose vanno abbastanza bene. Non abbiamo infatti riscontrato ritardi di pagamenti più di quanto che non si fosse verificato in precedenza».
Quindi la situazione quantomeno non è peggiorata, ma è stabile. Anche se qualcuno tende a pagare quando si incassa…
«Chiaramente se io permetto al mio cliente di pagare quando incassa, lui capisce che può pagare più tardi e finisce per dare a sua volta, una dilazione maggiore al suo cliente, per anche per vincere la concorrenza. Questo però ci porta a strascichi spesso difficilmente gestibili. In linea generale non devono mai essere superati i 60 giorni. Può capitare, talvolta, in certe zone, per ragioni particolari, di concedere qualche cosina in più, ma si tratta sempre e comunque di eccezioni».
L’intervista è pubblicata su AgriCommercio e Garden Retail 2/2024
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