Il mais è attualmente una delle colture più in difficoltà nel nostro Paese. Questo potrebbe sembrare strano se pensiamo che negli anni ‘90 l’Italia era praticamente autosufficiente per questo cereale, mentre ad oggi la produzione copre a malapena il 50-55 % del fabbisogno nazionale. Guardando con attenzione i dati Istat che riassumono l’andamento di produzioni (vedi grafico 1), superfici, rese e prezzo lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi è veramente molto preoccupante: nonostante infatti le rese (linea verde) risultino essere stazionarie, negli ultimi anni stiamo comunque assistendo ad una riduzione costante delle superfici destinate a mais (linea rossa) ma soprattutto ad un drastico calo dei prezzi (linea gialla - siamo passati da valori intorno ai 600 €/t negli anni ‘80 a valori intorno ai 280 €/T negli ultimi tempi). Il grafico 1 riassume molto bene la situazione di difficoltà che sta attraversando questa coltura, che da sempre ha ricoperto un ruolo da protagonista nell’agricoltura italiana.
Tale andamento si va ad inserire in uno scenario nazionale di per sé già complicato per i nostri agricoltori, i quali si trovano ad operare in un clima non particolarmente favorevole. A quest’ultimi, infatti, il mercato chiede di produrre con standard qualitativi elevati, ma in presenza di prezzi contenuti e soprattutto di produrre nel rispetto dell’ambiente. Queste sarebbero richieste più che legittime se gli agricoltori potessero operare nelle migliori condizioni possibili. Al contrario ad oggi diverse scelte e azioni continuano a frenare e limitare i nostri agricoltori:
- riduzione dei principi attivi per contrastare i diversi patogeni e avversità che colpiscono questa coltura.
- limitazioni alla ricerca per motivi ideologici ad esempio non vi è la possibilità di sperimentare gli ogm, mentre poi si ha la libertà di importare mais geneticamente modificato che in altri paesi consente risultati invidiabili senza nuocere in alcun modo alla salute.
Risulta evidente, quindi, che la causa del declino cui sta andando incontro questo settore non può essere una sola, ma sicuramente è la somma di più fattori; tra questi sono da annoverare i problemi sanitari, dovuti alla presenza di micotossine, che complicano ulteriormente l’attività non solo degli agricoltori, ma di tutti gli attori coinvolti lungo la filiera.
L’impegno degli stoccatori
Ne sanno qualcosa gli stoccatori che devono analizzare le partite in entrare e separare gli ammassi per evitare le contaminazioni garantendo gli elevati livelli di salubrità richiesti dal mercato e dalle soglie di tolleranza stabilite da regolamenti normativi.
Compag da sempre si è interessata alle diverse difficoltà del settore cerealicolo rappresentando in maniera diretta con i propri associati una capacità di stoccaggio di 17 milioni di quintali.
Interesse che si sviluppa nel seguire le iniziative e le innovazioni nell’ambito della ricerca e nella divulgazione presso le aziende commerciali degli approfondimenti e delle nuove conoscenze acquisite.
In particolare di grande interesse si è dimostrata la partecipazione nel mese di marzo presso la sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza al convegno dal titolo “Il contributo della ricerca per la gestione delle micotossine nella filiera mais”.
L’obiettivo era quello di illustrare in che direzione si sta muovendo la ricerca in merito al problema delle micotossine mediante la presentazione dei risultati fino a ora ottenuti da due progetti: il primo finanziato dall’Unione Europea denominato “MycoKey - Integrated and innovative key actions for Fusarium mycotoxin management in food and feed chain” ed il secondo maggiormente legato al territorio regionale denominato “MICOntrollo – Micotossine dei cereali: strategie di controllo e integrazione di filiera per uso energetico” finanziato da una Mis. 16.1.01 del P.S.R. della Regione Emilia-Romagna.
Tecniche di prevenzione
Per il mais vi sono diversi tipi di micotossine, in particolare le fumonisine sono quasi sempre presenti in quantitativi variabili e in determinate condizioni climatico agronomiche possono superare le soglie di tolleranza, le aflatossine non sempre presenti ma che sono soggette ai maggiori controlli e per le quali si segnalano le maggiori problematiche e infine Don/Zea che creano dei problemi solo in alcune annate.
La presenza di questi funghi spesso può compromettere intere produzioni, soprattutto quando le tecniche colturali e le buone pratiche agronomiche non sono messe in atto in maniera puntuale ma anche in annate con andamenti climatici particolarmente favorevoli. Fondamentale risulta essere quindi la ricerca scientifica, per cercare di avere strumenti e tecniche sempre più efficaci per il loro contenimento e per ottenere delle produzioni sicure anche dal punto di vista sanitario.
I modelli previsionali
Uno degli strumenti già utilizzati e che in questi progetti si sta cercando di affinare sono sicuramente i modelli previsionali che, basandosi sul ciclo d’infezione del fungo e su dati metereologici orari (T, UR, precipitazioni), cercano di prevedere in maniera quanto più precisa possibile gli stadi del ciclo di infezione del patogeno e quindi il rischio di contaminazione di micotossine alla raccolta. Nonostante la presenza di diversi modelli già sviluppati per le micotossine, il problema principale di tale strumento è come formulare la previsione e come organizzare il suo trasferimento al comparto produttivo. Negli ultimi anni poi anche gli effetti del cambiamento climatico contribuiscono a rendere ancora più complessa la situazione, dato che spesso si assiste alla co-presenza di più tipologie di micotossine.
L’impiego di antagonisti
Un ulteriore filone di ricerca è quello del bio-controllo. In particolare per il contenimento delle aflatossine prodotte da Aspergillus flavus è stato testato un prodotto fitosanitario contenente spore di un ceppo non tossico che è fortemente competitore con i ceppi tossigeni. In questo modo si attua il così detto “principio di esclusione competitiva” che può portare ad una riduzione superiore all’80 % del livello di contaminazione, con risultati migliori nella annate con alte contaminazioni e con trattamenti su più campi dello stesso comprensorio.
L’intoppo legato a questo prodotto è che attualmente è soggetto ad una autorizzazione temporanea da parte del Ministero della Salute che per ora è stata rinnovata di anno in anno con possibilità di utilizzo in un periodo limitato di tempo (maggio-settembre).
Rapidità delle analisi
Gli operatori del settore, tuttavia, sperano anche di poter disporre di metodi sempre più rapidi per la determinazione delle micotossine lungo la filiera, in relazione ai limiti di tolleranza indicati dai regolamenti comunitari (1181/2006, 1126/2007 e Raccomandazione UE 165/2013). È una questione che influenza sempre di più la contrattualistica e i mercati cerealicoli.
Migliorare l’efficienza e l’affidabilità delle analisi per dimostrare la conformità ai limiti massimi ammissibili mediante metodiche rapide è una sfida importantissima, non solo per i rapporti commerciali ma anche per le valutazioni interne. In questa direzione è di notevole interesse il lavoro svolto nell’ambito del progetto MycoKey per lo sviluppo e la messa a punto di uno “Strip test Multiplex” che consente un’analisi rapida e simultanea di diverse micotossine (5 minuti per la preparazione del campione, 6 diversi tipi di micotossine analizzate, possibilità di applicazione su diversi cereali). Ma rimane sempre l’incognita della composizione del campione da analizzare
I sistemi meccanici
Anche la pulizia della granella su scala industriale è uno strumento utile alla riduzione della contaminazione da micotossine e rappresenta un filone di ricerca per affinare le tecniche e le metodologie. Le strategie di decontaminazione, per recuperare lotti contaminati ed evitare importanti perdite economiche, risultano sempre più interessanti anche in relazione al fatto che per ridurre la contaminazione l’Unione Europea non consente la miscelazione dei lotti contaminati con materiale conforme ai requisiti di legge. La pulizia dei lotti contaminati prevede l’eliminazione di tutto ciò che può portare ad innalzare il livello di micotossine, in particolare: polvere, cariossidi spezzate o ferite, cariossidi avvizzite, cariossidi con difetti cromatici e/o con muffe.
Sono diversi i casi studio da prendere in considerazione per valutare l’efficacia su scala industriale della combinazione di tecnologie su vari livelli di contaminazione: da una semplice vagliatura per eliminare le impurità più grosse, passando all’aspirazione per la rimozione di polveri e pula, fino ad arrivare a macchine sempre più complesse ed efficienti per l’eliminazione delle cariossidi con difetti cromatici o avvizzite.
Gli studi e la sperimentazione di queste metodologie sono molto incoraggianti con una riduzione tra il 70-80 % per le aflatossine; con picchi anche intorno al 90 % mediante l’utilizzo di macchine a fluorescenza. Il progresso scientifico e tecnologico sono di fondamentale importanza nel settore agricolo per ottenere produzioni sempre maggiori e con standard qualitativi elevati. Per questa specifica coltura poi, possono rappresentare realmente un valore aggiunto per tutta la filiera.
Notizie scientifiche corrette
È necessario diffondere le conoscenze scientifiche in maniera corretta ed efficace a tutta la società che spesso ha una percezione del rischio un po’ distante da quelle che sono le evidenze scientifiche.
L’opinione pubblica, infatti, negli ultimi tempi ha un’idea demoniaca ad esempio dei prodotti fitosanitari oppure delle colture BT, mentre non percepisce fino a fondo il rischio addirittura superiore legato alla presenza di contaminazioni di origine naturale, come possono essere quelle batteriche o quelle dovute alle micotossine.
Tutto questo è significativo della strumentalizzazione operata da diversi organi di informazione che anziché ricercare la verità si limitano superficialmente a cavalcare ciò che fa notizia e crea scalpore, anche perché studi scientifici hanno più volte appurato quanto appena detto e inoltre perché tutte le sostanze attive presenti nei prodotti fitosanitari sono soggette ad attenti dossier di valutazione che hanno lo scopo di capire i possibili effetti su uomo, ambiente ed animali, sulla base dei quali poi vengono stabiliti i valori limite ammessi negli alimenti.
A dimostrazione di come a volte abbiamo un’idea distorta del pericolo, riportiamo il grafico sviluppato da una ricerca danese (Larsson et al. 03-18 Food and Chemical Toxicology) che dimostra che il rischio connesso all’assunzione di “pesticidi” nella dieta è pari a quello di bere 1 bicchiere di vino ogni tre mesi.
Leggi l’articolo su AgriCommercio & Garden Center n. 3/2019
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