Sementi certificate per un’agricoltura competitiva

sementi certificate
Per poter accedere agli aiuti accoppiati della Pac a partire dal 2024 è richiesto questo prerequisito. Cosa ne pensano sementieri, commercianti e agricoltori

L’utilizzo di sementi certificate dovrebbe rappresentare il comportamento normale dell’agricoltore, ma le statistiche dimostra il contrario. Non è pertanto la prima volta che la Pac ricorre allo strumento delle sementi certificate per avere certezza della tracciabilità e tendere al miglioramento della qualità delle produzioni.

Eugenio Tassinari, presidente di Assosementi e di Convase

«Vorrei essere chiaro –, afferma Eugenio Tassinari – presedente Assosementi e Convase - già la legge attuale di fatto prevede l’uso di semente certificata, in particolare per evitare la diffusione di malattie fungine e allo stesso tempo per ottenere un prodotto di qualità e riproducibile nel tempo anche per rispondere alle esigenze alimentari del Paese. La qualità della nostra pasta è oggi riconosciuta anche grazie all’uso di sementi controllate che hanno permesso di rispondere costantemente nel tempo a precise esigenze organolettiche. D’altra parte tutti i contratti di filiera già oggi impongono semente certificata per garantire i risultati richiesti».

Maggiori garanzie

E aggiunge Tassinari: «Se si parte da un seme sano si ridurranno drasticamente gli interventi fitosanitari. Ricordiamoci poi che il grado di germinabilità elevato della semente certificata permette di utilizzare una minore quantità di seme e con una garanzia produttiva elevata. Quando va a utilizzare il seme autoprodotto l’agricoltore tende a incrementare l’investimento per ettaro ma senza mai sapere con esattezza quale possa essere quello più congeniale. Ecco che la Pac ha fatto propri questi concetti di base richiedendo l’impiego del seme certificato».

Alberto Lipparini, direttore di Assosementi

Naturalmente, come ci ricorda Alberto Lipparini, direttore Assosementi, l’autoproduzione di seme è ammessa dalla legge ma questo seme autoprodotto deve essere solo impiegato in azienda e non ceduto o quanto meno venduto. Purtroppo oggi circa la metà del seme di frumento utilizzato non è certificato; per l’orzo si arriva la 60% e per l’avena anche fino al 90.

«Non dimentichiamoci – precisa Tassinari - che questo riduce drasticamente la capacità dei sementieri di effettuare la ricerca che investono in questa dal 5 al 15% del loro fatturato; nelle ortive, dove i margini un po’ più elevati l’investimento può arrivare anche al 30%. Fra l’altro la ricerca, per sviluppare nuove varietà necessità di tempi lunghi, mediamente 10-12 anni e quindi ha bisogno di un sostegno continuo per poter procedere e dare risultati al passo con i tempi».

Conferma della normativa

La Pac, dunque, ha confermato di fatto quanto già indicato dalla normativa. «L’effetto positivo dell’obbligo di utilizzo di seme certificato reintrodotto dalla nuova Pac - afferma Tassinari – è che nel momento in cui gli agricoltori si renderanno conto dei benefici legati all’uso regolare del seme certificato molto probabilmente lo continueranno ad utilizzare anche se i contributi della Pac in un futuro dovessero venire meno». Dovrebbe così passare il concetto che la legge di fatto viene incontro alle esigenze degli agricoltori, mentre i sementieri potranno continuare il loro lavoro di selezione in funzione delle esigenze del mercato.

«Non so se sarà la Pac che riuscirà a far passare il concetto dell’importanza del seme certificato che non deve essere visto come un “balzello” – avverte Tassinari -, ma è certo che una maggiore consapevolezza da parte dell’agricoltore porterà a risultati importanti. Io non credo nella repressione ma sono certo che i concetti di tracciabilità e sicurezza alimentare ci porteranno nella direzione giusta. Rimane un aspetto importante: i sementieri dovranno riuscire a garantire la disponibilità di seme in base alle richieste».

Nuove tecnologie

I produttori sementieri italiani guardano con attenzione alle Tea (cis-genesi e genoma editing) mentre hanno scartato le tecnologie ogm, anche per il fatto di essere ormai obsolete.

«Le Tea – ci spiega Lipparini - sono tecnologie a basso impatto che velocizzano moltissimo ed efficientano il miglioramento genetico andando a effettuare modifiche della stessa tipologia di quelle che potrebbero comunque verificarsi in natura senza l’intervento umano ma con tempi lunghissimi. Non è facile stimare se l’uso delle Tea potrà portare ad una riduzione del costo delle sementi grazie alla riduzione dei tempi della ricerca per la realizzazione di nuove varietà ma è possibile che, trattandosi di tecnologie a basso costo e quindi alla portata di tutti (e non solo delle multinazionali), si potrà disporre di una offerta diversificata sul mercato. E questa, sì, potrebbe abbassare i costi».

«Permetterebbero inoltre – aggiunge Tassinari - di andare ad effettuare ricerca anche su alcune tipologie di piante, come le leguminose, sulle quali in questo momento la ricerca sta investendo molto poco perché dai costi insostenibili».

Per quanto riguarda le vecchie varietà e i grani antichi, va sottolineato che la Pac non incide sul loro utilizzo e sulla possibilità di accedere ai contributi: è infatti opportuno ricordare che anche questi materiali sono soggetti per legge a procedure di identificazione e certificazione ufficiali anche se meno stringenti rispetto alle varietà convenzionali, anche se ad oggi non risulta alcun quantitativo di seme certificato. «D’altra parte – spiega Lipparini - parliamo di quantitativi di prodotto limitati destinati il più delle volte a impieghi di nicchia».

Leggi l’articolo completo di grafi e con i commenti di sementieri, commercianti e agricoltori su AgriCommercio e Garden Retail n. 2 - marzo 2023

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Sementi certificate per un’agricoltura competitiva - Ultima modifica: 2023-03-21T09:23:58+01:00 da Alessandro Maresca

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