Un agricoltore su tre non utilizza semi certificati

sementi certificate
Mentre stanno imponendosi a ogni livello concetti quali qualità, tracciabilità e sostenibilità, di cui le sementi certificate costituiscono il fondamento, il mondo agricolo tende invece a utilizzarle sempre meno…

La produzione e commercializzazione di sementi certificate costituisce uno dei punti cardine della disciplina sementiera in vigore nei maggiori paesi sviluppati e nell’Unione europea da oramai cinquant’anni. Debbono rispettare questo obbligo tutte le maggiori colture erbacee: cereali autunno-vernini, mais, proteo-oleaginose, foraggere e bietola da zucchero. Per le specie da orto il controllo ufficiale avviene invece a posteriori, per sondaggio, fermo restando l’obbligo per le aziende sementiere dell’autocontrollo.

Ma proprio mentre utilizzatori e consumatori manifestano una crescente sensibilità e attenzione verso la provenienza degli alimenti consumati, il mondo agricolo sembra allontanarsi dalle sementi certificate, che costituiscono il mezzo tecnico più semplice per rispondere a questa aspettativa.

Una recente iniziativa della Sezione sementi colture industriali di Assosementi vedi la “La tracciabilità tradita” ha richiamato l’attenzione su questo fenomeno, concentrandosi sul caso della soia. Vale però forse la pena mettere in evidenza che anche altre colture importanti soffrono, forse ancora più della soia, della diffusione e dell’utilizzo di sementi non certificate ufficialmente. Particolarmente critica è la situazione dei cereali autogami, grano duro in particolare.

sementi certificate scaricateUna duplice origine

È bene mettere subito in evidenza che la granella non certificata impiegata come seme può avere una duplice origine:

  • legittima, allorché l’agricoltore ricorre al reimpiego aziendale di granella esclusivamente di propria produzione (fatti salvi gli eventuali obblighi in materia di privative varietali);
  • illegittima, cioè non legale, se la granella utilizzata come semente proviene da fuori azienda, da altri agricoltori o dal circuito commerciale.

Sulla base di stime che circolano nel settore e che possono essere elaborate prendendo in considerazione i dati relativi alle superfici coltivate per ogni coltura, il fabbisogno teorico di seme, i quantitativi di sementi ufficialmente certificate da Crea-Dc (che ha inglobato l’ex Ense), il saldo import-export di sementi, laddove disponibile, e le giacenze di seme a fine campagna, emergono tassi di impiego di sementi non certificate in crescente contrazione, tali da far dubitare dell’efficacia sia della disciplina sementiera, che dei controlli messi in atto dagli organi preposti.

Per il frumento duro si può parlare tranquillamente di un utilizzo per la semina di granella non certificata che ha oramai superato in media il 50%, per frumento tenero, orzo e riso il 30%, il 20% per la patata e il 40% per l’erba medica. Sommariamente, è come se un agricoltore su tre non utilizzasse la semente più idonea, quella ufficialmente certificata. Ovviamente il problema non si pone per le specie dove sono diffuse le varietà ibride, è il caso del mais, o sementi ad alto contenuto genetico e tecnologico, vedi le orticole professionali, salvo per quest’ultime il fenomeno ad esempio del taleaggio nel pomodoro da mensa.

Un risparmio effimero

Una situazione così negativa è il risultato di diverse concause: la lotta continua degli agricoltori per contenere i costi di produzione, un comportamento innato in tutti gli imprenditori, ma che quando le quotazioni di mercato sono basse si fa particolarmente spinto;

  • i controlli insufficienti, come già detto;
  • la mancanza di vincoli di filiera e/o il disinteresse da parte del mondo della trasformazione.

Se ne trae la conclusione che se una filiera, in senso lato, non crede e non investe nel mezzo tecnico che rappresenta un elemento fondamentale del processo produttivo, è una filiera che non innova e che quindi è destinata ad avviarsi verso un futuro non competitivo. Tra gli operatori seri del settore delle sementi e dei mezzi tecnici serpeggia uno scoramento palpabile, aggravato dai pochi controlli e dall’assenza di iniziative politiche per uscire da questa situazione. Tutti rimpiangono i tempi passati quando gli aiuti Pac erano legati all’impiego di seme certificato.

Comportamenti virtuosi

Solo l’industria di trasformazione sembra essersi finalmente accorta della spirale involutiva in cui sta precipitando il sistema, in barba alla tanto declamata qualità delle nostre produzioni, tanto che cominciano ad apparire concrete iniziative come contratti di filiera che contemplano tra le condizioni di adesione l’impiego della semente certificata.

È notizia recente che la Barilla ha definito un disciplinare per produrre farina di grano tenero da agricoltura sostenibile, denominato “La carta del mulino”. È composto da 10 regole, tra cui l’impegno da parte degli agricoltori di impiegare solo sementi certificate. vedi “Barilla vuole seme certificato”

Non è il primo esempio, perché la stessa azienda da anni è tra gli attori dell’accordo “Grano duro di qualità per la pasta Barilla” promosso e sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna e poi anche il “Fondo grano duro”, varato dal Ministero delle politiche agricole nel 2017 per favorire accordi di filiera triennali e che per il raccolto 2019 vede portato a 20 milioni di euro lo stanziamento complessivo e la possibilità di un aiuto fino a 200 euro per ettaro. Per usufruirne, l’agricoltore deve dimostrare l’acquisto di seme certificato.

In mancanza di obblighi espliciti e al di là della convenienza per l’agricoltore, comportamenti virtuosi quali l’utilizzo di sementi certificate vengono oggi premiati di fatto solo tramite i contratti di filiera.

Leggi l’articolo completo su AgriCommercio & Garden Center n. 4/2019

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La Tracciabilità Tradita

sementi certificate durante la lavorazioneIl caso della soia

Per il 91% degli italiani la tracciabilità delle produzioni agroalimentari deve partire dal seme. A rilevarlo è stata una ricerca tra i consumatori realizzata da Pepe Research per conto della Sezione colture industriali di Assosementi, l’associazione che riunisce le aziende sementiere italiane. Dall’indagine, presentata a Roma a fine marzo nel corso dell’incontro “La tracciabilità tradita: il caso della soia”, emerge che mentre l’83% degli italiani dichiara di fare attenzione alle informazioni sulla tracciabilità degli alimenti e all’origine delle materie prime, durante le scelte di acquisto, poi il 90% degli intervistati denuncia che mancano adeguati strumenti di informazione. Assosementi sottolinea però che “non è possibile garantire la provenienza di circa il 30% della soia seminata causa l’uso crescente di sementi non certificate e di origine incerta. Tale incertezza mina la qualità di questa coltura, alla base della dieta animale e quindi all’origine di tante filiere d’eccellenza del made in Italy”.


sementi certificate in mano

Barilla vuole seme certificato

Arriva la carta del molino

Tra le 10 condizioni previste da Barilla per aderire al disciplinare di agricoltura sostenibile denominato “Carta del Mulino” e produrre così grano tenero destinato ai nuovi prodotti a marchio “Buongrano”, due riguardano espressamente le sementi.

La regola 4 prescrive l’uso delle varietà di frumento indicate da Barilla. Infatti, la scelta delle varietà di frumento è essenziale sia per ottenere prodotti finiti di qualità, sia per utilizzare quelle più adatte alle diverse zone di coltivazione.

La regola 5, poi, obbliga ad utilizzare solo sementi certificate, di cui siano garantite identità, purezza varietale, germinabilità e sanità. L’utilizzo di sementi certificate è lo strumento che assicura la coltivazione delle varietà scelte e, garantendo la sanità del seme, aiuta a contenere la diffusione di malattie e a proteggere la pianta nelle prime fasi della crescita.

La Carta del Mulino è stata realizzata in collaborazione con Wwf, Università di Bologna, Università della Tuscia e Open Fields. L’obiettivo di Barilla è arrivare a soddisfare entro pochi anni l’intero proprio fabbisogno annuo di farina di grano tenero, pari a circa 240mila t.


Elaborazione dell’Autore, sulla base di dati Istat, Crea-Dc, Assosementi e Sicasov Italia.

Un agricoltore su tre non utilizza semi certificati - Ultima modifica: 2019-05-21T15:06:26+02:00 da Barbara Gamberini

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