La Federazione nazionale delle rivendite agrarie (Compag) non è contraria alla strategia Farm to Fork ma ritiene che sia necessario fare chiarezza su alcuni concetti di base. Per il direttore Vittorio Ticchiati «deve essere istituito un sistema di controlli efficiente e, allo stesso tempo, non si deve partire dal presupposto che una tecnica di produzione agricola sia migliore rispetto a un’altra»

Risale a fine maggio la pubblicazione della strategia Farm to Fork (F2F) a cura della Commissione europea come parte fondamentale dell’European Green Deal. Studiato per guidare la transizione verso un sistema agro-alimentare europeo più sostenibile.

Il programma decennale della strategia Farm to Fork pone degli obiettivi precisi per tutti gli Stati membri da raggiungere entro il 2030, tra cui ridurre del 50% l’uso di fitosanitari chimici, dimezzare la perdita di nutrienti garantendo al tempo stesso che la fertilità del suolo non si deteriori (riducendo, di conseguenza, di almeno il 20% l’uso di fertilizzanti), trasformare il 25% dei terreni agricoli in aree destinate all’agricoltura biologica.

Serve chiarezza su alcuni concetti

Compag, la federazione nazionale delle rivendite agrarie, appoggia in generale la strategia Farm to Fork e la necessità a cui essa si ispira di garantire sistemi alimentari sostenibili per tutelare maggiormente l’ambiente, la salute e i produttori, tuttavia ritiene che vada fatta chiarezza su alcuni concetti di base per evitare di cadere in inutili quanto dannosi pregiudizi.

Come Compag si è trovata più volte a sottolineare a favore degli ignari consumatori, l’agricoltura biologica – ormai una vera e propria moda - non comporta necessariamente un minore impiego di prodotti per la difesa. Anche le produzioni biologiche richiedono trattamenti, proprio come quelle non definite bio. Le colture biologiche possono sicuramente disporre di una minore varietà di sostanze attive da utilizzare, ma tutti i prodotti immessi sul mercato – biologici e non – hanno avuto una coltura trattata contro le malattie. In sostanza, diverse sono le tecniche agricole applicabili e che devono essere indirizzate al rispetto dell’ambiente, ma vanno valutate oggettivamente e non in maniera aprioristica.

Non sempre le sostanze naturali sono sicure

Non bisogna dimenticare che anche le sostanze ottenute da estratti vegetali impiegate nel trattamento delle colture biologiche possono essere molto pericolose. Ne sono un esempio gli estratti di neem e di piretro. Per non parlare di quegli estratti vegetali ai quali sono attribuite funzioni diverse da quelle per le quali sono utilizzate in modo da evitare il costoso (in termini di studi da eseguire e di burocrazia) iter di registrazione riservato ai prodotti fitosanitari.

Molti ricorderanno le infelici conseguenze dell’utilizzo dei panelli di ricino (sottoprodotti della spremitura dei semi di ricino) in agricoltura biologica: impiegati ufficialmente come fertilizzanti, in realtà venivano apprezzati particolarmente per la loro azione contro gli insetti terricoli. La sanità lombarda ebbe modo di verificarne la pericolosità in seguito alla morte di un cane per emorragia interna a causa della ricina, una potente citotossina.

Va sottolineato, inoltre, che non vi sono dati scientifici secondo i quali i prodotti bio siano qualitativamente superiori per le caratteristiche organolettiche o più sicuri per la ipotetica mancanza di residui, poiché l’analisi dei residui si basa sulla ricerca dei fitosanitari di sintesi e non di altre sostanze, potenzialmente altrettanto dannose, che non vengono individuate solo perché non cercate.

«Servono controlli efficienti»

Vittorio Ticchiati Direttore Compag
Vittorio Ticchiati, direttore Compag

«L’obiettivo di perseguire sistemi di produzione e di approvvigionamento che premino una maggiore sostenibilità ambientale e salvaguardia della salute - afferma Vittorio Ticchiati, direttore di Compag - deve tenere in considerazione i molteplici fattori in gioco e istituire un sistema di controlli efficiente, non partire dal presupposto che una tecnica di produzione agricola sia migliore rispetto ad un’altra: le tecniche di produzione non biologiche sono perfettamente in grado fornire prodotti qualitativamente eccellenti nel rispetto dell’ambiente.

È vero che il biologico ha registrato un aumento vertiginoso negli ultimi anni, ma pensare che tutta la produzione agricola possa essere sostituita dal biologico è irrealistico, così come pensare che le coltivazioni biologiche non vengano sottoposte a trattamenti, aspetto che dovrebbe essere specificato in modo chiaro nel documento ufficiale. Il pubblico deve sapere che ridurre l’impiego di fitosanitari è impossibile senza uccidere l’agricoltura».

Il concetto di prodotto fitosanitario

Per prodotto fitosanitario, infatti, si intende qualunque sostanza che eserciti un’azione contro le avversità (insetti fitofagi, malattie, erbe infestanti ecc.), sia essa una sostanza di sintesi chimica o derivante da estratti vegetali o ceppi di funghi antagonisti di malattie o che agiscano su insetti dannosi. Sono fitosanitari anche prodotti che, non essendo fertilizzanti, hanno un’azione di stimolo su alcune attività fisiologiche quali l’induzione a fiore, lo sviluppo vegetativo o il contenimento dello sviluppo vegetativo per limitare lo spazio occupato dalla coltura ecc.

Ottenere produzioni attraenti per il consumatore e al tempo stesso garantire una remunerazione dignitosa per i soggetti impegnati nella filiera non può prescindere da pratiche più efficienti che garantiscano rese adeguate. Ciò è possibile solo attraverso la ricerca varietale (attualmente esageratamente e ingiustificatamente limitata in Italia a causa dell’impossibilità ad adottare tecniche più innovative di miglioramento genetico) nonché la ricerca di nuove molecole per la difesa delle colture, molecole di sintesi o di origine biologica come i funghi o i batteri antagonisti di organismi dannosi.

Divieti e limitazioni bloccano la ricerca

Ma «non si stimola la ricerca con divieti o limitazioni, come la limitazione del 50% all’uso dei fitosanitari prevista dal documento» continua Ticchiati.

«Quando la Commissione intende promuovere iniziative per indirizzare la commercializzazione attraverso un codice di buone pratiche per favorire la diffusione di un’agricoltura sostenibile, non può limitare la propria visione a qualcosa definito biologico: vanno identificate delle procedure di verifica e controllo in grado di analizzare in maniera chiara e precisa come il prodotto sia stato ottenuto e valutare l’effettiva rispondenza agli obiettivi prefissati».

Questa è la chiarezza che Compag chiede. Trasparenza che, secondo Compag, anche un documento ufficiale quale il "Farm to Fork" dovrebbe avere per non creare aspettative sbagliate nei consumatori.

Fonte: Compag

Da Compag sostegno con riserva alla strategia “Farm to Fork” - Ultima modifica: 2020-07-20T12:37:42+02:00 da Agricommercio e Garden Center

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