Oggi si parla di Agricoltura 4.0, con fattorie connesse, sensori che raccolgono Big Data, droni che sorvolano le campagne.
Il modo di coltivare sta cambiando, anche in Italia. Qui però l’innovazione darà forti risultati solo se i nuovi i aspetti tecnologici, gli esiti della ricerca, le esigenze economiche delle imprese verranno coordinati con la forza della tradizione, che è basilare nel nostro Paese.
Le fattorie verticali non sono una novità, e in genere ripropongono schemi già noti: le verdure crescono su pali verticali, non c’è terriccio, le coltivazioni ricevono acqua arricchita di nutrienti, i led forniscono l’equivalente della luce solare, l’accurato controllo dell’ambiente elimina il problema dei parassiti.
Una nuova formula per ottimizzare la gestione dell’agricoltura del futuro è stata presentata al Web Summit di Lisbona da Matt Barnard che si definisce un agricoltore, anche se high-tech.
Barnard ha realizzato Plenty, una startup che gestisce due fattorie super avanzate (una a sud di San Francisco e l’altra a Laremie, nel Wyoming). Quello che caratterizza questa esperienza e la pone su un piano più avanzato è l’applicazione il collegamento capillare fra intelligenza artificiale e la ricerca scientifica: i programmi vengono messi a punto dopo aver testato accuratamente gli effetti dell’irrigazione, dei minerali, dei livelli di umidità e delle variazioni dell’illuminazione sulle coltivazioni. La ricetta elaborata è del tutto personalizzata, varia da pianta a pianta, e segue per ogni vegetale le varie fasi del ciclo di vita, rispondendo ad eventuali cambiamenti.
La specificità e complessità del meccanismo sono state illustrate da Barnard anche al World Economic Forum di Davos, dove ha spiegato che quelle di Plenty non sono solo fattorie, ma veri e propri centri di formazione per l’applicazione dell’intelligenza artificiale alle coltivazioni.
I cosiddetti nuovi “contadini” risultano in realtà data analyst, chimici specializzati nella percezione del gusto, designer, ingegneri, esperti di machine learning.
Le opinioni e gli obiettivi del fondatore sono chiari: il cibo nutriente, buono e a km zero, dovrebbe essere un diritto per tutti. Con i nuovi mezzi si potrà portare sulle tavole di tutti verdure a un prezzo accessibile, a km zero e dal sapore eccellente.
L’iniziativa ha suscitato un notevole interesse e ricaduta economica, con ingenti investimenti esterni, circa 200 milioni di dollari da parte della giapponese SoftBank, di Eric Schmidt (presidente del consiglio di amministrazione di Alphabet, cioè Google) e del proprietario di Amazon Jeff Bezos.
La situazione in Italia
A questo punto si pone però la questione di quanto questi modelli siano adattabili all’agricoltura italiana.
Secondo vari esperti, infatti, la realizzazione di fattorie totalmente computerizzate e connesse, anche se in teoria favorisce costi di produzione più bassi e una logistica molto più razionale ed economica, non è sempre in linea con la situazione e le esigenze del nostro Paese.
Marco Perona, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart AgriFood e professore dell’Università di Brescia, ritiene che la nuova tendenza andrebbe in una direzione opposta alla logica europea e in particolare italiana della valorizzazione dei territori, delle Docg e delle Dop.
In Italia si punta su produzioni di nicchia e su una trasformazione che ha le sue basi nell’artigianalità, e valorizza il pregio, la qualità e la specificità del prodotto. Questo rappresenta un sicuro punto di forza della nostra produzione, ma di fatto rende più complessa le digitalizzazione delle filiere, caratterizzate da un’estrema varietà.
È una situazione molto diversa da quella di altri Paesi dove sono presenti produzioni estensive, di massa, e le fasi industriali di trasformazione sono realizzate da grandi multinazionali. In quelle diverse condizioni è evidentemente più facile e utile digitalizzare e automatizzare la filiera.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, di recente le rilevazioni dell’Osservatorio Smart AgriFood hanno confermato che, in Italia, l’innovazione digitale in ambito agroalimentare non riesce a catalizzare la stessa mole di investimenti che ottiene in altri Paesi, come Stati Uniti, Regno Unito o Germania.
La cosa non stupisce, dato che risulta collegata a motivazioni strategiche molto importanti, legate a condizioni che rappresentano di fatto un grande fattore di forza della nostra agricoltura.
In quest’ottica, senza abbandonare o stravolgere le caratteristiche di un percorso tipicamente italiano, una possibilità potrebbe essere offerta dall’estensione alle aziende agricole del piano nazionale “Industria 4.0”, con particolari regimi fiscali.
Qualità e tecnologia vanno a braccetto
Anche nel nostro Paese cresce l’interesse nei confronti dell’Agricoltura 4.0 che permette di razionalizzare e ottimizzare produzione e qualità.
Stefania Gilli, (responsabile IoT, lavora insieme a Cia - Confederazione italiana agricoltori - e Agia -Associazione giovani imprenditori agricoli) ritiene che oggi gli agricoltori italiani sono interessati e aperti alle novità. Credono nella qualità del prodotto, nella competitività ma anche, soprattutto, nella difesa del made in Italy. Sanno che la tecnologia può aiutarli perché in un mercato sempre più competitivo e globale non è più un’opzione ma uno strumento di differenziazione.
Quali possono essere soluzioni adatte a piccole realtà? Ad esempio, per fornire modelli previsionali meteo, al contadino basta una piccola stazione connessa a sensori, alimentata da un pannello solare e dotata di modem con all’interno una Sim IoT che invia al cloud dati da analizzare in tempo reale. Grazie a queste informazioni, che permettono di eseguire previsioni puntuali, l’agricoltore può razionalizzare l’irrigazione, agire preventivamente in vista di problemi meteo, personalizzare i trattamenti fito-sanitari.
La nuova tecnologia permette anche di intervenire in tempo reale sui macchinari, prevedere un guasto, evitare un’inefficienza, pianificare gli investimenti in base ai picchi di attività.
Si tratta di risparmi molto consistenti, in primo luogo, in termini di acqua e prodotti, ma anche in altri ambiti, come i costi delle assicurazioni. Vari vantaggi riguardano la digitalizzazione di strumenti come il quaderno di campagna, su cui vanno annotati i trattamenti fitosanitari, fornendo una fotografia certificata in tempo reale della situazione sul territorio, senza dover necessariamente ricorrere alla visita di un esperto.
La tecnologia avanzata può essere essenziale anche per l’agricoltura biologica per monitorare il tracciamento del prodotto, i metodi di conservazione e di imballaggio, le tempistiche in cui rimane stoccato, dopo il raccolto.
Due giovani imprenditori, Lorenzo Cilli e Valerio Carconi, hanno creato Youfarmer, una piattaforma di CoFarming che permette di realizzare un orto biologico coltivato e gestito da aziende agricole coinvolte nel progetto, con consegna dei prodotti presso le aziende stesse o punti di prelievo, oppure con spedizione a domicilio. È una versione ridotta, ma un primo passo verso la logica della capofila Plenty, e risulta una proposta al momento ancora più vicina alla situazione italiana.
È realistico pensare a uno sviluppo sempre più marcato nel settore delle analisi dei dati per aiutare l’agricoltore a fare scelte consapevoli per produzioni di alta qualità.
Leggi l’articolo su AgriCommercio & Garden Center n. 4/2019
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