L’insufficiente disponibilità di sementi prodotte con metodo biologico sembra essere un punto di debolezza del sistema produttivo biologico. In Italia il settore ha visto negli ultimi 10 anni un aumento superiore al 70% nella superficie dedicata, con una incidenza oramai del 15% sulla Sau totale. La superficie destinata invece sempre in Italia alla produzione di sementi biologiche non va oltre un 5% circa del totale (vedi tabella 1 su Agricommercio n. 8/2019). Ammesso che questo confronto sia corretto, perché, se scartiamo i prati stabili, la vite, l’olivo e le altre colture frutticole (che non necessitano ogni anno di essere ripiantati) la distanza si accorcia non di poco.
Gli sforzi profusi e anche uno specifico “Piano nazionale sulle sementi biologiche” promosso dal Ministero delle politiche agricole nel 2008 e conclusosi nel 2014, per individuare migliori e specifiche varietà per le produzione biologiche e accrescere la disponibilità in generale di sementi, hanno prodotto risultati insufficienti. Un nuovo piano per le sementi biologiche viene ora invocato dalle organizzazioni biologiche e del mondo agricolo.
E infatti il controverso disegno di legge sull’agricoltura con metodo biologico attualmente all’esame del Senato, prevede che il Ministero adotti entro sei mesi dall’approvazione un piano per le sementi biologiche e lo aggiorni con cadenza triennale. Tale previsione è stata giudicata dalla nuova presidente di Federbio, Maria Grazia Mammuccini, come uno dei punti salienti della programmazione disegnata da tale provvedimento. Non specificando, ma era sottinteso, che il problema è non solo di disponibilità quantitativa, ma anche qualitativa, legata cioè alle caratteristiche varietali e genetiche delle sementi.
Eccesso di deroghe
Come noto, le norme prescrivono che nel biologico possano venire impiegati solo materiali riproduttivi ottenuti con metodo biologico. Nel caso delle sementi, gli obblighi di produzione previsti per il biologico si aggiungono a quelli del convenzionale (iscrizione al Registro, controlli dell’Ente certificatore, etichettatura ecc.). In mancanza, è possibile essere autorizzati a impiegare sementi convenzionali, purché non ogm, ovvero non conciate con prodotti non ammessi nel biologico. La facilità con cui è possibile per gli agricoltori con metodo biologico accedere alla deroga, quasi fosse un fatto scontato, viene reputata, e non solo in Italia, la prima responsabile del mancato decollo della produzione di sementi biologiche. Assosementi, l’associazione delle aziende sementiere, punta da sempre il dito contro questo aspetto.
I numeri parlano da soli (vedi tabella 2 nella rivista). Nel 2018 ben il 96% delle domande di deroga, cioè quasi 90mila su 93mila, è stato accolto. E negli anni precedenti la situazione non è che sia andata molto meglio.
È comprensibile come le aziende sementiere non siano incentivate a produrre sementi biologiche, ma anche il comportamento dell’agricoltore che si affida eccessivamente alle deroghe, come se fosse la regola, e non l’eccezione!
La banca dati
Una nuova banca dati delle sementi biologiche (Bds) è entrata in funzione nel febbraio 2019, ma dopo pochi mesi è prematuro esprimere giudizi, anche se disguidi operativi ci sono stati e ci sono ancora. Ma la banca dati è solo uno strumento, per facilitare l’incontro tra domanda e offerta. Importante è anche il compito del Gruppo di esperti, che ha il compito di aggiornare almeno annualmente la lista rossa e la lista verde delle varietà (vedi riquadro), ma soprattutto di identificare le varietà equivalenti.
Come segnalato in occasione dell’incontro Sementi bio in Italia: problemi e prospettive, organizzato il 19 settembre da Rete Semi Rurali, nell’ambito del progetto comunitario Liveseed, e da Crea-Dc, si sta valutando la possibilità di inserire a breve l’erba medica e il trifoglio alessandrino nella lista rossa (stop alle deroghe, c’è infatti potenzialmente una buona disponibilità di sementi bio), mentre sono sotto osservazione il frumento tenero e duro, l’orzo e l’avena.
Tuttavia, il vero problema di fondo è quale tipologia di materiale sementiero il produttore biologico cerca. Le varietà convenzionali, prodotte in bio, ovviamente risultate idonee a tale fine, oppure le varietà locali, non standardizzate, non ibride, o ancora le varietà da conservazione, le consociazioni varietali eterogenee, le popolazioni evolutive? Per non parlare dello scambio e della vendita diretta di sementi biologiche da parte dei coltivatori! È evidente che in questi casi c’è poco spazio per le aziende sementiere, così come per il commercio tradizionale.
Quali interventi
Non sarà facile trovare una quadra. Di certo sarà difficile arrivare a potere escludere del tutto le deroghe. Un maggiore rigore nella loro gestione sarebbe però intanto necessario, non solo a livello di banca dati, ma anche e soprattutto da parte degli organismi di controllo e certificazione del biologico, gli unici capaci di rendersi conto del reale comportamento del coltivatore.
Un altro passo utile potrebbe essere l’individuazione di un numero ristretto di varietà ritenute valide per il biologico e la limitazione della deroga solo su quelle, e non sull’intero scenario dei cataloghi ufficiali. Affiancato dalla possibilità di deroga per le nuove varietà, per un certo numero di anni, favorendo così l’innovazione, la possibilità di testarle e l’avvio della produzione di seme anche in bio.
E poi sarà utile trovare nuovi meccanismi. In Olanda, ad esempio, i pataticoltori in biologico sono tenuti a ordinare i tuberi-seme necessari entro il 1° febbraio. Dopo tale termine, non ne è più garantita la disponibilità e senza seme biologico, non possono seminare. Ponendo così fine al giochetto di molti che aspettavano fino all’ultimo per acquistare il seme bio, per poi lamentarsi che non era più disponibile. D’altra parte, la ditta sementiera, per non ritrovarsi con dell’invenduto, a un certo punto della campagna (s)vendeva sul mercato convenzionale il seme biologico.
Leggi l’articolo completo di tabelle su AgriCommercio & Garden Center n. 8/2019
Dall’edicola digitale al perché abbonarsi