Percorso ad ostacoli per l’agrochimica europea. Se la Dir. 91/414 ha portato alla revoca del 60% delle sostanze attive (fig. 3), l’applicazione del nuovo Reg. 1107/2009 potrebbe comportare un’ulteriore diminuzione delle registrazioni entro 5 anni. È questo il presumibile impatto dei cut-off criteria e della valutazione comparativa, le novità più impattanti della nuova disciplina europea sull’immissione in commercio degli agrofarmaci. La stima è di Dino Sozzi, membro del Consiglio direttivo di Ecpa (European Crop Protection Association – la centrale di rappresentanza in Europa dell’industria agrochimica) e direttore dell’area sviluppo prodotti in Europa di Syngenta. Sua la relazione di apertura delle Giornate Fitopatologiche 2010. La redazione di If gli ha rivolto alcune domande lo scorso 9 marzo a Cervia (Ra).
Quale sarà l’effetto del nuovo pacchetto fitosanitario sull’agricoltura europea?
«L’Ue si è voluta dotare della legislazione più severa. Le incognite maggiori sono legate all’aumento dei costi e dei tempi di lancio dei nuovi agrofarmaci. L’agricoltura è guidata dall’innovazione: gli investimenti in ricerca e sviluppo delle aziende fornitrici di mezzi tecnici arrivano al 10% del fatturato (quota superata solo dalla farmaceutica – fig. 2). Le avversità, malattie e parassiti, portano alla perdita di oltre un terzo della produzione e, negli ultimi anni, si è registrato un incremento delle introduzioni di nuovi organismi nocivi da lotta obbligatoria.
Il costo unitario medio per lo sviluppo di ogni prodotto fitosanitario supera ormai i 300 milioni di $, e i tempi dalla scoperta al lancio sul mercato si sono allungati ben oltre i 10 anni. Il risultato è che spesso, nonostante molte società abbiano sede nel vecchio continente, i prodotti più innovativi vengono registrati prima nei Paesi terzi. Una circostanza che incide direttamente sulla competitività delle aziende».
Una situazione che in realtà si è consolidata con la vecchia Dir. 91/414.
«Ora però si aggiungono ulteriori elementi critici. Elementi di incertezza, legati ai cut-off criteria, una valutazione preventiva del pericolo presunto di ogni categoria di agrofarmaco, che rischia di scoraggiare investimenti in nuove famiglie chimiche. Ma anche elementi di disomogeneità legati alla valutazione comparativa, che è delegata agli Stati membri e che rischia di amplificare le differenze nazionali, nonostante l’obiettivo della riforma fosse in realtà proprio il contrario: semplificazione e armonizzazione. Nei prossimi due anni ognuno dei 27 Stati membri dovrà attivare questa procedura per 120 prodotti, senza coordinamento e senza chiari criteri operativi. L’esperienza della 91/414 lascia prevedere possibili ritardi».
Quale esperienza?
«Commissione ed EuroParlamento hanno completamente rinnovato il pacchetto normativo, ma allo stato attuale “regna” ancora la vecchia 91/414.Adue anni dal termine ufficiale del suo mandato, ci sono infatti ancora 80 sostanze attive per le quali deve essere deciso, o meno, l’inserimento in Annex I.
E occorre ancora valutare l’Annex III di tutte le sostanze. I tempi della revisione spesso poi non coincidono con quelli della riclassificazione e dell’armonizzazione dei limiti di residuo. Un mancato sincronismo che aggiunge ulteriore incertezza. L’evoluzione normativa rischia di innescare un aumento dei tempi e dei costi anche a carico delle autorità registrative dei vari Stati».
Una via d’uscita?
«Prevenire è sempre meglio che curare: è necessaria un’implementazione pragmatica e intelligente della nuova legislazione per evitare il rischio di gravi problemi, innanzitutto economici. L’agricoltura sostenibile può e deve essere raggiunta all’interno di moderni sistemi produttivi agricoli. Siamo pienamente favorevoli alla qualificazione dell’uso dei prodotti fitosanitari e la nuova Dir. 128/09 (sugli usi sostenibili) può essere l’occasione per un ulteriore sviluppo di professionalità. L’industria è pronta a dare il proprio contributo in termini di formazione, informazione e innovazione».
Per Bruxelles sostenibilità fa però rima con produzione integrata obbligatoria: ulteriori vincoli?
«I nostri obiettivi di ricerca sono in continua evoluzione. Dall’Ipm (Integrated pest management, obbligatoria dal 2014), stiamo già passando all’Icm (Integrated crop management) fino alla gestione del territorio come risorsa comune (fig. 1). Il riconoscimento di questo ruolo può contribuire a dare stabilità al reddito degli agricoltori. L’industria ha messo a punto prototipi di sostenibilità come Operation Pollinator, per la creazione di apposite strisce di terreno adiacenti ai campi per favorire ausiliari, parassitoidi e impollinatori, oppure linee guida come Prowadis, per la tutela delle acque, la cui adozione è collegata alla cross-compliance della Pac. Ma occorre, appunto, un approccio più attivo nel dire cosa è agricoltura sostenibile e cosa non lo è: basarsi sull’arbitrarietà della concessione di deroghe, come in certi casi è capitato in passato per la produzione integrata, non consente di programmare investimenti».
Il messaggio è chiaro: sostenibilità ambientale si deve coniugare con quella economica e sociale.
«E perchè ciò si verifichi occorre innanzitutto che non venga ulteriormente limitata la disponibilità di sostanze attive. L’effetto dell’applicazione dei cut-off criteria potrebbe farsi sentire non solo nelle colture minori (fig. 4). E le conseguenze non sono legate solo alle preoccupazioni riguardo alla perdita di tecnologie. O alla riduzione delle opzioni nella prevenzione e gestione della resistenza. Ulteriori revoche inciderebbero direttamente sulle possibilità di costruire adeguati programmi Icm. Un’eccessiva rigidità nell’applicazione del Reg. 1107 comprometterebbe in partenza le chance di successo della Direttiva sugli usi sostenibili».