La storia è molto semplice e accade in una regione italiana del Nord Est dove la coltura del mais rappresenta una tradizione culinaria secolare e una risorsa agricola importante anche se, ahinoi, in crisi e da alcuni anni con superfici in contrazione. Tanto per non fare nomi la regione è il Friuli-Venezia Giulia.
Il fatto
Un agricoltore che alleva api accusa il vicino che ha seminato mais conciato con un prodotto insetticida di essere la causa della moria di api del suo alveare. Infatti l’apicoltore ha fatto analizzare le api morte e si è riscontata la presenza dell’insetticida. Presenza in quantità non determinabile, pertanto non si sa se si tratti di una quantità sufficiente per causare la morte. È un indizio, e non una prova; d’altra parte le api si muovono senza guinzaglio, quindi non si sa se effettivamente siano passate sul terreno del maiscoltore.
L’agricoltore che ha seminato mais non ha utilizzato l’insetticida in maniera estesa, anzi, l’insetticida non lo ha nemmeno toccato perché semplicemente ha utilizzato un seme già conciato quindi imbrattato dell’insetticida. Quest’ultimo è indirizzato a colpire i soli insetti del terreno che cercano di rosicchiare i semi. Il prodotto insetticida è regolarmente autorizzato dal Ministero della Salute per il trattamento delle sementi. L’accusa è che il maiscoltore abbia seminato in presenza delle api del vicino, non rispettando le prescrizioni di etichetta, e sollevando della polvere inquinata dall’insetticida che avrebbe colpito le api causandone la morte. Ipotesi possibile ma da dimostrare. Non vogliamo entrare nel merito del contenzioso tra i due agricoltori che potrebbe essere anche piuttosto complesso, ma la semplicità del fatto che abbiamo specificato all’inizio è che secondo noi di null’altro si tratta se non di un contenzioso tra privati e in tale ambito deve essere affrontato e risolto.
Il nostro interesse, invece, è nell’intervento della magistratura con tutto il suo potere inquisitorio quanto sproporzionato.
L’indagine
L’ipotesi accusatoria del pubblico ministero riguarda infatti il reato ambientale di cui all’articolo 452 bis del codice di procedura penale che prevede: reclusione da 2 a 6 anni e sanzione da 10mila a 100mila €. Vi sembra ragionevole?
L’agricoltore avrebbe utilizzato un prodotto senza rispettare le prescrizioni di etichetta e per questo naturalmente è perseguibile, ma pensiamo che vada applicato il sistema sanzionatori specifico previsto da apposite norme, purché, naturalmente venga appurato con prove concrete che abbia effettivamente omesso di rispettare tali prescrizioni.
Ma il pubblico ministero ha teorizzato che l’impiego dei prodotti fitosanitari sia di per sé un fatto grave e perseguibile riferendosi ai dispositivi legislativi che sono stati emessi a livello europeo e nazionali e che nelle premesse sostengono la necessità di contenere l’impiego dei fitosanitari associandoli a tecniche agronomiche o individuando tecniche alternative. Ma questi dispositivi non precludono in alcun modo la necessità di utilizzare i fitosanitari e non lasciano presupporre, come invece fa il pubblico ministero, che il loro utilizzo nasca dalla mancata volontà dell’agricoltori di considerare altre forme di difesa.
Tutto questo non attiene al singolo agricoltori perché le tecniche e le modalità di difesa nascono dalla ricerca che permette di mettere a punto delle modalità comprovate e validate.
Le disposizioni di etichetta e le linee guida regionali ma non solo, rientrano in questo quadro e danno la garanzia che l’agricoltura italiana convenzionale che rappresenta il 98% della produzione agricola intensiva complessiva rispetta l’ambiente e fornisce prodotti di alta qualità e salubrità.
Paradossi inquietanti
Certe modalità adottate da qualche pubblico ministero sono oltremodo inquietanti e rischiano di destabilizzare il normale equilibrio di vita civile.
Ma ci siamo chiesti se la signora Pia che con la sua auto euro 4 alla mattina deve portare il bimbo alla scuola che si trova nella zona rossa riservata alle euro 6 e che percorre magari qualche chilometro nell’area vietata sia passibile di inquinamento ambientale?
O il signor Peppino che ha acquistato il Suv, una delle macchine più inquinanti, invece di acquistare la macchina elettrica sia pure lui perseguibile secondo l’articolo 452 bis?
Sono naturalmente paradossi come è paradossale inquisire un agricoltore di danno ambientale perché sul proprio terreno non ha rispettato una disposizione di etichetta.
L’opinione pubblica è naturalmente sempre a favore dell’ambiente e porsi come paladini di questo bene inestimabile, non lo dico con ironia, è certamente un atto popolare che crea consenso, ma spesso le persone sono più ambientaliste a casa degli altri che a casa propria.
Sento spesso chi lamenta di dover pagare il sacchetto delle verdure al super mercato o coloro che per non differenziare gettano l’immondizia nei cestini della città, ma poi vanno a manifestare con la simpatica Greta Thunberg.
Si richiede imparzialità
Un pubblico ministero è una persone che ha le proprie idee e in quanto persona è libero di seguirle, ma nell’ambito delle funzioni del proprio lavoro, soprattutto in considerazione del grande potere di cui dispone, deve essere assolutamente imparziale e comprendere che la questione di cui trattiamo non va risolta attraverso l’incriminazione di singoli agricoltori, perché finisce per gettare nell’incertezza migliaia di famiglie che da anni praticano quel tipo di coltivazione ma che all’improvviso si vedono privare di una fonte di sostentamento. Per non parlare delle filiere agroalimentari all’interno delle quali si trova la coltura del mais. Le tecniche e le modalità di coltivazione, infatti, vanno inserite in un sistema che dalla ricerca e dalla valutazione di esperti si rivolge con appropriate informazione alle singole aziende agricole. Nel caso in questione si può eventualmente individuare una mancanza nel processo informativo per le aziende, sistema informativo che dovrebbe fornire le indicazioni per adottare dei processi di produzione per salvaguardare i pronubi che sono una grande risorsa per l’ambiente ma anche per la stessa agricoltura. Altre regioni hanno già da anni attivato tavoli tecnici che si occupano di affrontare le questioni tecniche per favorire l’attività delle api e di recente è stato istituito un analogo tavolo nazionale.
Il problema, tra gli altri, è anche la farraginosità del sistema amministrativo del nostro paese, suddiviso in 20 regioni per un territorio di piccole dimensioni. Anche le regioni “maggiori” trovano difficoltà organizzative in termini di risorse umane per instaurare sistemi evoluti di assistenza alle aziende agricole. È necessario uscire dalle mere contrapposizione che certi gruppi ambientalisti perseguitano, il vivere quotidiano e la produzione di beni e servizi indispensabili per preservare un elevato livello di vita sono di per sé inquinanti perché portano ad un’alterazione dell’ambiente.
Il tema è di individuare i percorsi più opportuni attraverso la ricerca e il perfezionamento delle tecniche produttive, ma sono percorsi che richiedono tempo. Non esiste una conoscenza predeterminata. Se l’agricoltura biologica fosse la vera alternativa, dopo 30 anni di sussidi, occuperebbe un ruolo più importante di quanto non sia ora. I numeri della crescita esponenziale del biologico che spesso vengono proposti sono specchietti al tornasole che vanno letti con un minimo di senso critico, visto che oggi vengono certificati biologici interi comuni occupati da boschi e pascoli od aree dove non si riesce ad effettuare un’agricoltura intensiva. È l’evoluzione dell’agricoltura convenzionale che con l’esperienza del lavoro quotidiano ha saputo mettere a punto le tecniche opportune per un maggiore rispetto dell’ambiente garantendo comunque le rese elevate che un’economia progredita richiede.
Leggi l’articolo su AgriCommercio & Garden Center n. 3/2019
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