Dopo un lungo periodo di gestazione è stata finalmente completata
la prima stesura del Piano d'azione nazionale sull'uso
sostenibile degli agrofarmaci, che sarà il principale
strumento per rendere effettiva l'applicazione della direttiva comunitaria
n. 128 del 2009, recepita con il Dlgs n. 150 del 2012.
Le finalità del provvedimento sono riconducibili a due aspetti fondamentali.
Da una parte, integrare le direttive in materia di sicurezza
per l'operatore, nel filone di quel complesso sistema normativo che,
per semplicità, viene indicato con l'espressione “Direttiva Macchine”,
con specifico riguardo alle macchine e attrezzature già in uso.
Il
secondo obiettivo consiste nella protezione dell'ambiente in tutte le
sue articolazioni: dai campi coltivati alle aree verdi pubbliche e private,
dalle pertinenze di strade e ferrovie alla vita nei corsi d'acqua, fino
all'intera collettività nel caso di trattamenti conmezzi aerei.
Il concetto di protezione viene declinato in modi diversi, che vanno
dalla semplice limitazione nella scelta dei principi attivi (dai più tossici
ai meno pericolosi), fino alla proibizione assoluta nelle situazioni più
critiche.
Rispetto alla prima bozza dell'autunno 2009 si sono compiuti
molti progressi, sia riguardo alla precisazione dei soggetti coinvolti
(per esempio, le imprese che lavorano per conto terzi), sia nei confronti
dei modelli agricoli consentiti, sia nel campo della formazione
degli operatori.
La versione presentata a novembre 2012 era ancora
provvisoria: il lavoro delle numerose commissioni tecniche che hanno
scritto il provvedimento è stato oggetto di una pubblica consultazione,
conclusasi alla fine di dicembre.
In quella sede le rappresentanze
dei soggetti coinvolti hanno fatto sentire la loro voce rispetto
alle varie criticità, proponendo modifiche e integrazioni. Sebbene la
versione definitiva non sia ancora uscita, si ritiene utile indicare
esaminare a grandi linee il Piano d'azione nazionale (Pan), con
specifico riguardo ai controlli sul parco macchine, tanto più che le
imprese che operano per conto terzi sono soggette a cadenze più
frequenti. È interessante notare, innanzitutto, la volontà del legislatore
di considerare fatte per “conto terzi” le lavorazioni svolte su fondi o
aree altrui, senza distinguere la natura delle imprese coinvolte: una
volta tanto, tutti sono sullo stesso piano.
Destinazione finale dei prodotti fitosanitari
La norma - se verrà mantenuta - è interessante anche perché
esclude dalla disciplina del commercio di fitofarmaci l'acquisto diretto
del prodotto da parte del contoterzista, che lo fatturerà insieme
alla prestazione agromeccanica, permettendo così di superare le
difficoltà legate allamancanza del patentino da parte dell'agricoltore
destinatario del servizio.
L'unica distinzione che si fa riguarda la
destinazione finale dei prodotti fitosanitari,
che può essere professionale
o non professionale:
in quest'ultimo caso l'etichetta
deve indicare che il preparato
può essere impiegato solo nell'ambiente
domestico o in orti e
giardini privati.
Questo rappresenta
una novità rispetto al passato,
quando il patentino era obbligatorio
solo per l'acquisto dei
prodotti più pericolosi: ma dall'introduzione
dell'obbligo di tenuta
del quaderno di campagna un
minimo di formazione è in realtà
indispensabile, se non altro per compilare correttamente il registro.
Un altro aspetto importante riguarda le precauzioni da prendere
quando si eseguono trattamenti in prossimità di insediamenti abitativi
o di luoghi frequentati dal pubblico. Alcune di queste possono in
verità apparire esagerate, in quanto comportano grossi vincoli per
l'agricoltore o il contoterzista: tuttavia è interessante osservare il
problema anche da un'altra prospettiva.
Da diversi anni, specie in
vicinanza di grandi centri urbani, si è verificato un ripopolamento
delle campagne da parte di famiglie provenienti dalla città, sfruttando
i vecchi casali abbandonati.
Chi ha scelto di vivere in un contesto
rurale, tuttavia, non ha consapevolezza dei processi produttivi e
tende ad associare l'idea della campagna a un concetto romantico
con “contadini” in costume e tavolate sull'aia, secondo i cliché
imposti dai mezzi di comunicazione e da una certa pubblicità.
Da
tempo si sono moltiplicate a dismisura le denunce e le segnalazioni
ai servizi di igiene pubblica delle aziende sanitarie per trattamenti
“pericolosi e inquinanti” che in realtà sono effettuati nel pieno
rispetto delle regole, solo perché producono odori sgradevoli o
sconosciuti.
Certo, l'apposizione di cartelli è una seccatura: tuttavia
è già significativo il fatto che l'informazione venga riconosciuta
come strumento per legittimare il trattamento, anche se eseguito in
vicinanza di aree residenziali o frequentate.
Controllo periodico delle macchine
Uno dei punti chiave del provvedimento è costituito dal controllo
periodico delle irroratrici, che deve essere svolto a due diversi livelli:
quello aziendale, affidato direttamente all'operatore, sia prima dell'esecuzione
del trattamento, sia con un più approfondito esame
periodico; quello istituzionale, che si realizza con un vero e proprio
collaudo, iniziale e periodico, svolto da un centro autorizzato dalle
Regioni e dotato di personale specializzato e di strumentazioni adeguate.
La parola collaudo non deve trarre in inganno: la verifica delle
irroratrici riguarda soltanto la tutela dell'ambiente e delle condizioni di
lavoro, e non ha quindi nulla a che vedere con le norme sulla circolazione
stradale.
Il primo controllo funzionale delle irroratrici dovrà
essere stato completato, per tutte le macchine impiegate in Italia,
entro il 26 novembre 2016: considerando che il Piano non è ancora
operativo, restano meno di 1.000 giorni lavorativi per controllare oltre
mezzo milione di macchine, qualcosa come 600 pezzi al giorno; ma
mentre ci sono Regioni che hanno già autorizzato una serie di centri
di prova, in altre aree del Paese si manifesta un notevole ritardo,
destinato a mettere in difficoltà
tutta la filiera.
I controlli sono differenziati fra
macchine per l'irrorazione di colture
erbacee, per colture legnose
e per l'impiego in ambiente protetto
(serra, tunnel, ecc.); fra l'altro
il termine per il primo collaudo
delle macchine impiegate per
conto terzi è anticipato di due anni,
e scade il 26/11/2014.
Entrando
nel merito, il collaudo presso il centro di prova rispecchia entrambi
gli obiettivi della direttiva 128, ossia la rispondenza alle norme di
sicurezza e la funzionalità della macchina; all'esame funzionale deve
quindi seguire la corretta taratura della macchina per garantire l'uniformità
della distribuzione e il controllo quantitativo dei prodotti distribuiti.
Sul piano della sicurezza per l'operatore, vengono esaminati
soprattutto i dispositivi meccanici, i sistemi di protezione e quelli per
ridurre il rischio di contaminazione.
I controlli sulla tutela ambientale sono ancora più accurati e tengono
conto di diversi fattori: sistemi di regolazione e monitoraggio,
assenza di perdite nei circuiti e nei raccordi, ugelli e dispositivi antigoccia,
uniformità della distribuzione, sistemi antideriva, funzionalità
della barra, in particolare distanza e parallelismo rispetto al suolo,
sezionamento della barra distributrice, valvola di non ritorno sull'aspirazione
acqua, sistemi per il lavaggio interno di serbatoio e circuito.
Tutto il processo, non dimentichiamolo, ha lo scopo di ridurre sia
l'inquinamento diffuso, provocato da una barra in cattive condizioni di
manutenzione, sia quello puntiforme, derivante dalle operazioni di
riempimento e periodico lavaggio dell'irroratrice, come quello che si
fa quando si cambia coltura, in special modo per i diserbanti.
A tal fine
il Pan, e le linee guida che verranno emanate per la definizione di
particolari procedure, stabilisce diverse prescrizioni, graduate in base
alla loro efficacia. Secondo gli orientamenti comunitari, il miglior
modo per ridurre l'inquinamento localizzato è quello di prevenire la
produzione di sostanze di rifiuto: definita la superficie da trattare, è
preferibile che non avanzi nemmeno un litro di soluzione, anche per
ovvi motivi economici.
In alternativa, la soluzione rimasta dovrebbe
essere ridistribuita sulla coltura trattata così com'è, oppure, se questo
dovesse creare problemi di fitotossicità, previa ulteriore diluizione
con l'acqua di lavaggio del circuito.
Per quanto sia stato previsto dal legislatore, lo svuotamento del
circuito in un serbatoio di sicurezza, conservato nel centro aziendale,
e il conferimento a un centro specializzato per il trattamento dei rifiuti
pericolosi appare difficilmente praticabile per gli alti costi che comporta.
Parimenti costoso, per le soluzioni impiantistiche che comporta,
è il ricorso alla fitodepurazione svolta direttamente in azienda,
senza contare che questo sistema manca di un preciso raccordo con
le norme del testo unico ambientale, potendo configurare un'attività
di trattamento abusivo di rifiuti, aggravato dalla presenza di contaminanti
pericolosi.
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